Riprovare il singolo dopo un anno: la musica del fiume ed io
Remare e raccontare
Oggi, dopo un anno, ho riprovato il singolo. Ho raccontato tante prime volte nel canottaggio, la prima volta sullo skiff, la prima volta da timoniera di un 4, la prima gara internazionale sull’8 misto. Sono passate tante cose sul fiume e intorno a lui. Mi piacciono di più le barche lunghe, l’8 che ha qualcosa di animale antico fra l’insettone e la creatura preistorica, il 4 che ha una compattezza più gestibile e il 2 che è facile da organizzare (puoi domani alle 13? Sì, andiamo). Quindi non ci sono state tante occasioni per allenarsi nel singolo. Anche perché già scrivere è un’attività solitaria, stare con qualcuno mi rende meno selvatica. Ne ho bisogno.
Ma oggi era il momento del singolo, 2 singoli che poi sono diventati 3. Insieme ma ognuna per sé.
La partenza è il momento più delicato. Il carrello è messo male e non me ne sono accorta prima, per fortuna lo sistemo con una sederata. Con la sinistra tengo corda e scalmo allontanandomi un po’ dal pontile; con la destra, quando devo sistemare il remo e chiudere il ponticello, visto che ho le braccia corte (sono tutta un po’ corta) sono abbarbicata con le ginocchia buttate a sinistra a contrastare braccio destro e busto a destra in una contorsione che… meno male che pratico yoga.
Poi spingo con la sinistra tenendo i remi in acqua (il destro c’è già, il sinistro per ora no) e guardo che il fiume sia libero e arrivo di là.
Remare per allenarsi a non distrarsi
Molti e molte dicono che il singolo è il modo per capire i propri errori e correggere i difetti. Per me è un allenamento alla non distrazione. Andando, rispetto al doppio, quello che sento nelle gambe, nella pelle, nei sensi è un maggiore stato di allerta: sento di più le onde del motoscafo, l’effetto di quando mi giro, il vento, i tronchi sotto di me. So che se mi tolgo gli occhiali o mi gratto il naso mi sbilancio.
In questo anno mi sono allenata una volta la settimana con l’8, qualche volta in 4, molto spesso in 2, allora cerco di fare tesoro di tutto quello che ho imparato: avanti piano sul carrello, dietro veloce, uno-due-tre-quattro e cinque veloce dietro. “Pale in pressione, non farle saltellare, non scappare dal finale” mi ripeto le indicazioni ricevute. Gambe salde e stese, poi busto e poi braccia e poi via di mani cercando l’equilibrio, schiena e gambe. Ciascuno sfuma in quello prima e in quello dopo come in una dissolvenza incrociata. Ci provo. A volte meglio a volte peggio. A volte il corpo cerca l’insieme e l’automatismo.
La barca non pende, cerco di tenere la mani vicine, va liscia e vedo davanti a me i cerchi nell’acqua e sento che scorre sotto. I suoni delle pale e dell’acqua che scivola sono la musica più bella. Però mentre nel 4 e nell’8 sto spesso a occhi chiusi, qui non me lo posso permettere.
Remare per sviluppare sensibilità e gratitudine
Cerco di stare con la testa in barca perché se mi giro a guardare mamma anatra con i 4 anatrini piccolissimi o le oche al rio Cavoretto o l’airone sul tronco rischio di cadere. Cerco di non disturbare la barca con movimenti bruschi, se becco un tronco appoggio le pale in acqua e cerco di scivolare via. Mi alleno ad assecondare legno e acqua, non passivamente ma da ospite che cerca di disturbare il meno possibile. Mi sembra che i sensi si aprano, si affinino, si acutizzino, come nella meditazione vipassana, di consapevolezza aperta, che coglie tutti i fenomeni intorno. Remare è meditare. Bisogna inventare la “meditazione remata” dopo quella camminata. Mindfulness a ogni palata.
Attraccare è più semplice che con le barche grandi perché lo skiff è super manovrabile. Poi c’è di nuovo quel momento tutta a destra ad aprire il ponticello con le ginocchia a sinistra e i remi sulla pancia. Anche oggi è andata bene. Grazie fiume, ci vediamo presto!