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India del Nord giorno 10: intorno a Leh, Shey Palace, Hemis e Thiskey

Thiskey

India del Nord giorno 10: intorno a Leh, Shey Palace, Hemis e Thiskey

L’attesa del Dalai Lama

La pioggia si è fermata, la temperatura è in salita e con lei l’umore. Partiamo per l’esplorazione dei templi nella zona di Leh. Sulla strada ci sono tantissime persone che cantano e ballano, molte in abiti tradizionali con cappelli e stivali  e gonne colorate e maniche lunghissime e anche tanti monaci. Ci sono anche festoni oltre alle bandierine. Sono in attesa del Dalai Lama che oggi verrà qui a incontrare persone e tenere un discorso.

In molti alberghi, negozietti, non so se chiamarli locali perché sono poco più che un garage zeppo, il faccione del Dalai Lama campeggia sorridente e benevolo. Viene da volergli bene. Tutti gliene vogliono qui.

Causa maltempo, il Dalai Lama oggi non arriverà. Immagino la delusione di chi ha affrontato lunghi viaggi, costi, magari popolazioni nomadi. Poi capisco che è una mia proiezione. Ogni contrattempo qui è percepito come opportunità o forse semplicemente accolto, non solo accettato, perché che altro fare?

I monasteri attorno a Leh

Cominciamo con lo Shey Palace and Monastery costruito alla fine del 1600. Ci accoglie un grande Buddha che occupa due piani dell’edificio. Noi siamo in alto, zona torace e testa ma guardando giù possiamo vedere le gambe nella posizione del loto e molte offerte in denaro o cibo a ricoprirlo. C’è odore di burro di yak che si usa per le candele e come bevanda insieme al tè: il butter tea che non posso assaggiare ma che profuma gli ambienti di animale e calore. Essendoci molti legni e stoffe, tangkha (stendardi dipinti che si possono arrotolare), tutto è impregnato di quell’odore grasso, burroso, scaldante.

Dopo andiamo verso  Thiskey, un complesso di 10 templi arroccato e digradante sulla roccia. Sembra un piccolo Pothala. Possiamo però visitare solo l’esterno perché i monaci sono andati ad aspettare il Dalai Lama e quindi hanno chiuso tutto. Ha colori vivissimi, un bianco e un rosso quasi alimentare.

Andiamo poi ad Hemis, complesso monastico del lignaggio Drukpa ricco di affreschi e intarsi. Qui c’è un ricchissimo museo con statue bellissime. Non si possono fare foto e non ci si può sedere sulle panche dei monaci ricoperte di tappeti. Noi non lo sappiamo ancora e ci sediamo a meditare sotto gli occhi di una grande statua di Avalokiteswara, il Buddha della compassione. (Avalokiteswara vuol dire che guarda verso il basso, speriamo sia compassionevole).

Pare che il monastero sorga su una roccia dove un monaco del 1200, Gyalwa Gotsangpa, veniva a meditare. Pare abbia detto “Tu uccello, la roccia e io l’uomo: finché non realizzerò l’unicità dei tre, non lascerò questo posto”.

Fra i misteri c’è anche una stanza dei tesori, di cui ha la chiave solo l’abate che vive in Tibet, contenente un manoscritto tibetano con l’ipotetico soggiorno di Gesù Cristo in India. Pare una leggenda ma chissà. Nicholas Notovitch, esploratore russo, scrisse per la prima volta dei rotoli nel 1894 nel suo libro “La vita sconosciuta di Gesù Cristo” ma ci sono dubbi che avesse mai raggiunto il Ladakh.

Visto che la visita finisce abbastanza presto chiediamo all’autista di portarci a Stakna e Mathos, altri 2 monasteri sulla strada del ritorno a Leh. Ci sono pietre che sbarrano la strada. Impariamo che le pietre sono un segnale di avvertimento: messe in fila sono un “alt”, messe intorno alle auto sono un triangolo, messe dietro una ruota sono un freno a mano.

Un po’ di riflessioni

Tornati a Leh, andiamo al mercato dei rifugiati tibetani, che hanno un po’ tutti le stesse cose. Acquisto un mala fra il turchese e il verde da una signora piccola e non giovane e due anelli-preghiera, che ruotano, antistress e potenti.

La giornata di oggi è densa di spiritualità, devozione, mistero. Il buddhismo tibetano è complesso e affascinante e magico, spesso contaminato con il tantrismo. Un viaggio dentro di sé (ma esiste un sé? Se tutto è an-Atman, anicca e dukkha, non-sé, impermanenza e sofferenza) nell’interconnessione e interdipendenza di tutti gli esseri. Le foto e le parole non riescono a catturare l’essenza dell’atmosfera che si respira: mistica ma anche semplice, misteriosa ma accogliente, densa, intensa di sicuro trasformativa. Questa è l’India che mi conquista e si fa perdonare di botto tutte le difficoltà incontrate.