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MIndfulness: diario di una mente elefante da addomesticare. La catena distraente

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MIndfulness: diario di una mente elefante da addomesticare. La catena distraente

Day 1 week 16

Meditare non è fare rilassamento. Non è staccarsi dai guai del mondo per ritagliarsi un angolo di pace, non è estraniarsi visualizzando un’isola deserta con palme e spiaggia bianchissima.

Meditare è imparare a stare con quello che c’è: le emozioni anche disturbanti, i problemi, i pensieri anche faticosi, le connotazioni emotive che ci risuonano in ogni momento: mi piace-non mi piace. Meditare è allenarsi a riconoscere e poco per volta accettare noi stessi, i nostri stati d’animo, le cose e le persone che ci circondano. Meditare è poterlo fare in uno spazio protetto per poi andare nella vita e continuare ad essere consapevoli. Sempre un po’ di più.

Questo è di nuovo per me un periodo difficile: freddo, umido, pioggia, fine di un po’ di cose a cui tenevo, qualche delusione e molte incertezze. Non è facile stare con tutto questo e con i rumori del cantiere (non è una metafora) intorno a me. Tutto si muove a onde, tutto passa, ma al momento la bassa pressione preme verso giù.

In tutto questo  continuo a meditare, anche se non è sempre facile. Sto, parto, mi distraggo, mi ritrovo lontanissima, torno. Uno delle indicazioni del protocollo MBSR è di provare, quando ci si accorge di essersi allontanati inseguendo un ricordo o un’anticipazione, a ripercorrere la catena dei pensieri che ci hanno portati lì. Oggi, per la prima volta, mi è successo di riuscire a ripercorrere la catena, senza fare troppa fatica e diventare reattiva nella ricerca ossessiva del filo perso.

Per due volte ero lontana, e per due volte, è come se avessi srotolato il bozzolo in cui ero finita, come se avessi liberato una pianta da un’erba infestante che le si era avvolta intorno, o semplicemente come se avessi seguito le innervazioni di un braccio o di una gamba per tornare al tronco.

La cosa particolare è che è successo senza difficoltà: invece di agitarmi col pensiero “devo riuscire” e col giudizio “perché non riesco?” e altre sovrastrutture, l’ho lasciato accadere un po’ come quando ti svegli, ricordi un sogno ma non è nitido, poi vedi un oggetto e il sogno si chiarisce.