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Gentilezza e cortesia: vicine ma non sinonimi

Foto di Ditto Bowo su Unsplash

Gentilezza e cortesia: vicine ma non sinonimi

Posso chiederti una cortesia? Mi faresti una gentilezza? Sembrano sinonimi ma non lo sono.

Partiamo dall’etimologia: gentilezza viene dal latino gentilis, la gens è la stirpe, la famiglia; gentili erano anche i pagani non ebrei. Cortesia viene dal provenzale cotrtes, della corte, ha in sé qualcosa di regolato da norme.

La differenza è che la gentilezza è un moto naturale del cuore, un sentire che si nutre di benevolenza e compassione e si traduce in atto. La cortesia è una forma, un gesto esteriore che non comporta (sempre) un’intenzione interna corrispondente.

C’è l’auto di cortesia infatti, quando la nostra si rompe, non c’è l’auto di gentilezza. Gentilezza sarebbe se il carrozziere ci dicesse “prendi pure la mia se ti serve”.

Nella pratica di yoga o di mindfulness invitiamo le persone a essere gentili con loro stesse che significa esplorare con delicatezza i limiti, non forzare, essere in ascolto del corpo e della verità che esprime in quel momento. Non potremmo essere cortesi con noi stesse perché avrebbe poco senso.

La gentilezza si può coltivare nutrendo il cuore, invitandolo al contatto con la fragilità e la compassione. Per la cortesia basta imparare alcune norme. Poi è possibile che anche nella cortesia si nascondano semi di gentilezza perché è contagiosa: si irradia, si diffonde silenziosa e a volte le bastano piccole crepe per espandersi, fare bene al cuore e generare altra gentilezza.

 

 

 

Foto di Ditto Bowo su Unsplash