Top

Mi sono imbucata alle prove della “Figlia del Reggimento” al Regio

ProveFigliadelReggimentoRegio

Mi sono imbucata alle prove della “Figlia del Reggimento” al Regio

Articolo uscito su La Stampa del 16.5.23 col titolo “Che magia dietro le quinte della grande opera, la “duchessa” Brachetti fa Ciribiribin con Pidò.

 

Imbucarsi alle prove di un’opera al teatro Regio. Nel vero senso della parola perché assisto a una buona fetta di filato dalla buca del suggeritore. È un pomeriggio di prove, poco prima della prima. Mi assicuro di non dare fastidio e mi seggo a terra vicino al gabbiotto dove Riccardo Fracchia, direttore di scena, coordina gli artisti dietro le quinte de “La figlia del reggimento” di Gaetano Donizetti nell’allestimento di Barbe & Doucet, coprodotto dal Regio con La Fenice fino al 23 maggio.
La scena è l’ingrandimento di oggetti: un carillon con pianoforte dorato, una collana di perle, un orologio da taschino, una penna, un telecomando, delle carte da gioco, un mezzobusto di gesso che da qui, di profilo, non si riconosce.
Le assi di legno del palco scricchiolano e il suono si fonde al brusio di cantanti e tecnici e anche il profumo è legnoso.
Da qui chi è in scena sembra meno alto che dalla platea. Non sono in costume se non per qualche dettaglio ingombrante come gonne e fucili.
In scena Giuliana Gianfaldoni che interpreta Marie, la figlia del reggimento, bambina trovata sul campo di battaglia che ha tanti padri amorevoli, il comandante Sulpice (Roberto de Candia), Tonio (John Osborn) e la marchesa di Berkenfield (Manuela Custer).
L’unico in costume è Arturo Brachetti che interpreta la duchessa di Crakentorp. “Facciamo quella cosa che cantavamo quando ti abbiamo regalato la fisarmonica nel ‘25” dice al direttore d’orchestra Evelino Pidò. Parte “Ciribiribin che bel faccin” seguono sorprese e cambi d’abito. “Ciribiribin che sguardo dolce ed assassin” canta Brachetti.
Fracchia mi avvisa che è in arrivo un rumore di mitraglia. Meno male, sarei morta di paura. Poi che sta scendendo un tulle sopra la mia testa. Mi sposto. Intanto si ripete la scena 12 e poi la 23. Il maestro Pidò invita il coro ad articolare di più, ”taratarattirataratarata”.
C’è l’intervallo: si scherza, si parla, un collega incoraggia un altro con un problema di salute dicendo che l’atteggiamento è fondamentale per attivare la guarigione. In platea c’è la regista Florence Bas con un bellissimo vestito nero a pois bianchi: “Un racconto leggero e senza tempo – spiega – pieno di energia, con una ouverture bellissima. Poi trionfa l’amore: quello fra Marie e Tonio, e fra la Marches e Sulpice”. Le piace Torino? “Moltissimo, devo tornarci da turista”.
Vicino a lei siede Guy Simard, disegnatore luci con tanti fogli: “Domani andrà meglio – dice – ma oggi non sono soddisfatto perché ogni volta che si cambia teatro è tutto diverso”.
Ecco Giulio Laguzzi, direttore musicale del palcoscenico, che ha qui il ruolo di suggeritore. “Con il Covid – racconta – e le distanze fra un professore e l’altro non abbiamo più usato la buca ma adesso torna utile, soprattutto in opere in cui il coro ha una parte importante”.
Mi invita ad andare con lui nella buca. Si passa dalla fossa dell’orchestra, si salgono piccoli scalini ed ecco una prospettiva magica: a destra il monitor in cui si vede Pidò, a sinistra lo spartito con la luce e la sedia. Laguzzi non solo dà le battute ma il ritmo in cui cantarle. Sfoglia le pagine veloce, ha una gestualità precisa, una danza, la mano sinistra conta 3, 2, 1, la destra batte, uno schiocco, apre le dita come per dire rallentiamo, dice “brava”.
Ricorda le parole e tutti gli attacchi, non solo in caso di dimenticanza, e fa molto di più. “Siamo – dice a bassa voce – più vicini ai cantanti del direttore, aiutiamo a guidare il palco, diamo conforto morale, una strizzatina d’occhio, un incoraggiamento, siamo un aiuto psicologico. Sentiamo se i cantanti sono in anticipo o ritardo e aiutiamo nelle curve pericolose. È importante non raddoppiare i gesti del direttore, quindi non usiamo la mano destra in cui c’è la bacchetta ma la sinistra”.
La buca è coperta dalla cupola e dalla platea non si sente nulla. “Un mestiere – racconta – che si impara facendo e guardando altri. Noi siamo tutti pianisti, maestri collaboratori, dirigiamo le prove al pianoforte quando non c’è il direttore d’orchestra e ci alterniamo per non congelarci in un solo ruolo”.
Da qui vedo chi è il mezzobusto: è Donizetti che guarda la scena per dire: “Mi raccomando, fate volare la mia musica”.