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Il rito della Pachamama In Perù: grazie madre terra!

Pachamama

Il rito della Pachamama In Perù: grazie madre terra!

Ci sono più cose invisibili che visibili. Intangibili, inspiegabili, sottili. E luoghi dove questa sensazione è evidente. A Cusco, sulle Ande peruviane, si percepisce di essere davvero nell’ombelico del mondo. Il suo nome in quechua vuol dire proprio questo. Sarà l’aria rarefatta dei 3.500 metri sul livello del mare che obbliga a rallentare per permettere all’ossigeno di circolare nel corpo, sarà che ci si sente fragili, a ogni metro più sù l’aria diventa più preziosa e si respira l’interconnessione e l’interdipendenza con gli alberi, la terra, la montagna, le nuvole, il sole che acceca nonostante gli occhiali. Senti di trovarti in un punto di contatto fra cielo e terra, una porta che permette a mondi diversi di comunicare: ieri e oggi, vita e morte, materia e spirito. Ma è tutt’altro che inquietante, anzi, è pacificante come un lago tiepido in cui tutto è possibile.

In quechua c’è una sola parola per esprimere spazio e tempo: “gacha” e, come in sanscrito e in hīndi, non c’è differenza fra futuro e passato che si dicono nello stesso modo: “ñaupapacha”. Qui è tutto presente, ieri e oggi abitano la stessa molecola di qui-adesso, di ossigeno che entra a fatica nei polmoni. Non viene da preoccuparsi per il futuro né da rimpiangere il passato, viene solo da dire grazie. Proprio quello che voglio fare da quando sono partita per il Perú. Non mi basta dirlo a chi mi sta accompagnando o a chi mi ha invitata qui e mi ha permesso di partire. Voglio rendere sacro questo momento.

 

L’esperienza con cuore e mente aperti

Con un piccolo gruppo di giornalisti curiosi come me partecipiamo a un rito di ringraziamento alla madre terra, la “Pachamama”. Percorriamo un pezzetto di cammino Inca, la civiltà maestra nell’architettura e nelle coltivazioni il cui impero occupava gran parte del Sudamerica, scomparsa con l’arrivo dei conquistadores guidati di Francisco Pizarro: una civiltà non scritta basata sull’osservazione delle stelle e dei ritmi della natura distrutta da chi conosce la scrittura e le armi da fuoco.

Camminiamo piano sotto un cielo azzurro, brillante, l’aria punge la faccia e le montagne intorno sembrano proteggerci: sono gli Apu, gli spiriti che le abitano e che tramite i fiumi, l’acqua, la vita che scorre, incontrano la terra. Intorno ci sono i terrazzamenti, il modo in cui gli Inca hanno coltivato e abitato le pendici. Vicino al tempio delle scimmie ci sono alcuni cavalli e un uomo che guarda l’orizzonte. Indossa un poncho rosso-arancio con decori bianchi e frange e un cappello ricamato bianco, rosso e verde di lana che copre le orecchie con dei pon pon blu.

Si chiama Lucas, ha 84 anni, barba e baffi bianchi e lo sguardo profondo, sembra che guardi dentro l’anima. Parla spagnolo ed è stato per anni professore. Non vuole essere definito sciamano, al limite curandero, arte appresa dalla madre: “era analfabeta – racconta – ma vedeva il male e lo curava”. Ci dà il benvenuto con voce pacata e calma, sembra che le parole arrivino da altrove, eppure sono vive, pulsanti, giuste. Ci fa accomodare su delle coperte a terra. Ci sediamo, sento subito l’esigenza di togliere le scarpe per toccare meglio la terra e per allontanare le suole da quel luogo sacro: le metto dietro di me. Con Lucas c’è uno dei suoi 3 figli che lo assiste, Juan, vestito come lui ma a piedi nudi.

 

“Un buffet alla Pachamama”

Lucas ci racconta che faremo un’offerta alla madre terra, “terra così devastata dai cambiamenti climatici, dal covid, dalla guerra in Ucraina”, è tutto così semplice e laico: “La terra è la mamma, il sole è il papà e le stelle sono i nostri “hermanitos”, fratellini” dice. In Sud America tutto ha un diminutivo affettuoso. Non c’è bisogno di appartenere a nessun credo specifico. La terra è vita per tutti. “La religione del futuro è l’ecologia” sostiene il Dalai Lama.

A terra c’è un tessuto nero, rosso e giallo, se gli si facesse un buco in centro diventerebbe un poncho; sopra uno più piccolo rosso e un rettangolo di cotone bianco che abbaglia: qui ci sono fiori rossi e dolcetti disposti in cerchio e come perimetro del fazzoletto conchiglie che contengono cereali, legumi, semi, quinoa, kiwicha, mais, erbe aromatiche, palo santo, tutti doni della terra.

“Siamo qui per offrire un buffet alla pachamama che è così generosa con noi: le restituiamo quello che ci dà ogni giorno” dice Lucas. Ci passa dei fiori profumati da un olio dolce e intenso che strofiniamo fra le mani. Poi tre foglie di coca, unite da grasso di lama. Ognuno di noi ci soffia sopra in un rito privato, intimo come una confidenza, ed esprime un desiderio di prosperità per sé, per chi ama, per la terra. Ci parla di reciprocità, così fondamentale nella filosofia andina. Ma valida anche per tutti noi: senza gli altri chi siamo? Noi siamo gli altri, gli altri sono noi: non c’è separazione.

Esprimiamo desideri, intenzioni, preghiere sulla coppia simbolo di un altro tema chiave delle culture peruviane antiche: la dualità.

Il rito è semplice, senza nessuna sostanza esterna (erbe o funghi), basta la terra fresca sotto di noi e il sole caldo sopra di noi con le carezze del vento ora tiepido ora freddo a farci essere tutti lì, insieme, una cosa sola. Non c’è nulla di magico, nulla di religioso, nulla di diverso dal riconoscere la nostra umanità condivisa e la nostra connessione con la terra: non siamo italiani o peruviani, europei e latini, ma persone, tutte con un cuore capace di amore e gratitudine. Lucas invoca i venti, gli antenati, Juan suona il pututu, una conchiglia che emette una nota profonda e vibra nella pancia. Siamo qui anche per gli antenati e per le generazioni future. Arriva una piccola farfalla bianca, si posa sul tovagliolo bianco, riparte. Penso: “Possono vivere le farfalle a queste altitudini?”. Smetto di pensare e ascolto: è un messaggio di Marinka, amica che non c’è più o forse è proprio lei in un’altra forma. Ecco un’altra farfalla gialla: è mia mamma, senza dubbi. Che bello avervi qui.

 

La fine del rito. Grazie Pachamama

Juan mescola tutti i doni in un ordine preciso. Stasera alle 20 li brucerà. E noi dovremo alla stessa ora versare il primo sorso di cosa berremo alla madre terra. E così saremo collegati.

Alla fine del rito Lucas passa da ognuno di noi e ci prende amorevolmente la testa fra le mani guardandoci negli occhi, a me sembra di abbracciarci cuore a cuore. Poi ci alziamo e ci prendiamo tutti per mano: un cerchio per la madre terra. Per guarirla e ringraziarla. Si scioglie qualcosa dentro e sento di essere tutte quelle mani e tutti quei cuori che battono insieme e che hanno le stesse paure e gli stessi desideri: c’è chi sta per diventare papà, chi vorrebbe un amore, chi è a un punto di svolta nel lavoro, tutti vogliamo solo stare bene ed essere felici. E mi commuovo e il vento asciuga subito quelle piccole gocce gelate agli angoli degli occhi. Sono viva e grata.

Lucas ci lascia con un piccolo amuleto da tenere con noi in borsa o addosso e da non far toccare a nessuno.

Ci salutiamo. Mentre prendo lo zaino vedo Lucas strofinare pollice con indice e medio della mano destra: bisogna pagarlo. Anche i riti hanno un prezzo. Ci pensa Mario, la guida sapiente che ci ha portato da lui. Avrei preferito non vedere questa scena ma invece è bene così: tutto è uno, spirito e materia, cielo e terra, ieri e oggi. Visibile e invisibile.