Non racconti più il canottaggio? Sì, appena chiudo qualche storia
“Remi ancora? Non hai più scritto nulla delle tue avventurose uscite in barca” qualcuno mi ha chiesto. Ebbene sì, continuo. A sorpresa perché sono un animale a sangue freddissimo, con mani e piedi sempre gelati e a cui, quando sparano sui polsi o sulla fronte per misurare la febbre, spesso il termometro si arrende perché non arriva sotto i 34°. Invece sì, remo, remiamo ed è bellissimo. Sarà il gennaio anomalo, sarà che all’ora di pranzo spesso ci sono 8° ma il canottaggio continua a farmi bene, all’umore soprattutto. Adoro stare nella natura, scorrere sul fiume, ammirare folaghe, svassi, aironi, nutrie, il triangolo di oche e qualche tartaruga abbandonata, mentre il corpo segue il ritmo, mi accordo alla mia compagna di remate, mi sintonizzo con il respiro e col suono delle pale: sciaff…….. sciaff……… sciaff…….
Ma in quest’ultimo periodo ho iniziato un master in sceneggiatura e drammaturgia all’Accademia Silvio D’Amico e sono nei guai. A parte l’impegno di seguire le lezioni tre o quattro giorni a settimana stiamo scrivendo come pazzi, da soli e in piccoli gruppi di lavoro: un radiodramma, una serie tv, un corto per il teatro, un progetto medio sempre per la scena, un adattamento per il cinema. E così nella mia testa ci sono l’Irlanda di Joyce, una famiglia turca, due quarantenni che si stanno lasciando o forse no, una medium, un poliziotto, due ex che si ritrovano a un funerale, tutti insieme e tutti sovrapposti. Mentre mangio, cucino o mi addormentano mi suggeriscono conflitti e soluzioni, idee e sviluppi. Affascinante, ma anche stancante perché non tacciono mai. Li ringrazio tutti qui perché mi permettono di vivere mille vite mentre vivo la mia.
Ps: Non mi mollano neanche quando remo o medito. Appena mi danno tregua e non devo rendere più credibile un dialogo torno al canottaggio, prometto.