Terza lezione di canottaggio. Poi smetto (di scrivere non di remare)
La terza volta è stata bellissima. Siamo arrivate, in 4, fino alla passerella di Italia 61. Per i non torinesi molta più strada. Mattina, sole, quiete, silenzio e, un po’ più di agio nel coordinare respiro, braccia, gambe. Certo qualche bisticcio di remi c’è stato, ma ogni tanto mi sentivo scorrere, essere fiume. Il movimento ipnotico, i pensieri che si pettinano, i remi che, in qualche modo, sanno.
Amo il fiume e non solo perché ho abitato tanti anni vicino a lui, ma me ne sono resa conto solo ora. Tutte le volte che ho vissuto in città senza fiume mi mancava qualcosa, lo cercavo senza capire perché.
Qualche giorno fa sono stata a una lezione di Giuseppe Barbiero, biologo autore di “Ecologia affettiva. Come trarre benessere fisico e mentale dalla natura”. Ha raccontato che a tutti noi umani, non importa se africani o inuit o europei, piace stare vicino al fiume e il suo suono ci calma. Viene da una memoria biologica antica, di migliaia di anni fa, quando dormire vicino a un corso d’acqua era garanzia di sfuggire a molti predatori perché sono pochi quelli che riescono ad attraversarlo.
E così caro fiume, ho capito perché sto bene con te: mi sento al sicuro, mi pacifichi, mi insegni a scorrere, a lasciar andare, a fidarmi. Non solo a remare.