Il naso non ha palpebre: il profumo di Torino.
Il naso non ha palpebre. Non puoi chiuderlo, strizzarlo o spalancarlo. E così, appena arrivi in un posto, ti fornisce un mondo di informazioni, ti seduce o ti infastidisce. Anche le orecchie non hanno palpebre ma è sempre possibile portarsi dei tappi di silicone e proteggersi da un martello pneumatico o da una cassa con un volume eccessivo.
Il naso è nudo. Collegato al nostro cervello primitivo, alla nostra sopravvivenza, al nostro primo chakra, è un indicatore potente e diretto: qui stai bene, qui stai male. Fine.
Ogni città, ogni luogo di mare, ogni collina ha il suo profumo. Appena arrivo in un Paese che non conosco annuso l’aria e lascio andare ricordi, associazioni ed emozioni. Persino gli aeroporti, i più non luoghi dei non luoghi hanno odori propri vicino all’uscita: i vestiti delle persone che abitano lì, il profumo dei cibi, le spezie e le fritture, la pelle di chi si muove lasciando le borse per abbracciare le persone che ama e sorridere all’idea di casa.
L’odore di Torino
Ogni città ha tanti odori ma ne ha uno che più di tutti ci fa pensare a lei. Per me Torino ha l’odore del freni del tram. Quelli bellissimi arancioni, con le sedie di legno rotonde e acciaio intorno e nella maniglia ad altezza schienale. Quell’odore di ferro, meglio se misto all’odore della nebbia e delle foglie secche è l’essenza della città. Forse è un ricordo diretto dell’infanzia, come spesso capita col naso. Gli odori annullano gli anni e ci riportano nelle case delle nonne o nelle scuole o nelle case dei nostri amici bambini come se non fossimo mai andati via da lì. Forse il tram mi ricorda le gite, quando sotto il metro non pagavi e c’era l’omino seduto su una specie di scranno che ti misurava a spanne.
Se sto via da Torino per un po’, mi piace compiere un piccolo rito di riconciliazione: salgo sul 16 e inspiro a ogni fermata, costeggio il Valentino, guardo fuori, sento i freni e l’aria autunnale e mi sento a casa.
E per voi qual è il profumo di Torino?