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Ho fatto la Vogalonga e ho visto Venezia remando

Vogalonga

Ho fatto la Vogalonga e ho visto Venezia remando

Amo Venezia da sempre e il canottaggio da 8 mesi. Così quando ho letto della Vogalonga, un percorso da fare remando da San Marco alla laguna andando a Sant’Erasmo e poi a Burano, Mazzorbo, Murano e finale nel Canal Grande, non ho resistito. Ho pensato alla bellezza. Più di 32 Km? Va bene. Qui ne faccio sempre meno della metà ma, mi sono detta, la bellezza nutre e ce la posso fare. Immergersi nelle cose è sempre diverso da guardarle. Come osservare il mare è diverso da mettere i piedi dentro e poi la pancia e poi gli occhi. Tutti i sensi si attivano: i profumi sono diversi, la pelle cambia, diventi uno con quello che fai: incorpori.

Ho convinto la mia compagna di doppio, abbiamo chiesto alla nostra allenatrice se non fosse presto per noi. Ce la facciamo? Sì, ha detto. Ci siamo fidate. Non avevo mai remato di punta (con un remo solo), non avevo mai timonato e tutto mi sembrava impossibile: cambiare posto in barca senza scendere, dare una direzione a una cosa stretta e lunga lunga e rigida, io che non guido da anni, resistere seduta per 4 o 5 ore senza sgranchirsi, senza togliere la testa e il corpo da lì perché in barca non si può. Ma sono viva, posso fare le cose in modo mindful: un respiro alla volta, una remata alla volta, istante per istante.

I compagni di equipaggio sono stati accoglienti, pazienti e disponibilissimi. Ci siamo allenati insieme qualche volta: abbiamo cambiato ruoli e posti mentre tre tengono i remi di chi si alza stabili nell’acqua, abbiamo riso col canottaggio acrobatico, abbiamo fatto resistenza, un giorno dalle 13 alle 16 sotto il sole dove siamo evaporati.

 

Si può fare!

La cosa incredibile è che ce l’abbiamo fatta. E la gara è passata, ed è lunga ma è bellissima e si fa. Avevo paura di tornare con le mani piene di bolle e invece neanche quelle. Santi guantini e nastro. Avevo paura di tornare col sedere quadrato e in effetti il cuscino fa poco…. Avevo paura di voler mollare e non poterlo fare e invece niente.

La fatica non è stata remare ma tutto il contorno: la sveglia alle 5 del giorno prima, scaricare le barche e montare gli scalmi sotto il sole del parcheggio del Tronchetto, vedere il passaggio per mettere le barche in acqua, strettissimo, una specie di buco in una transenna da cui si passa una barca per volta e poi l’altezza: come saltare nell’acqua. Ma come? Siamo 1800 barche, 8000 persone e dobbiamo passare da lì? In più con 2 bagni di quelli volanti, che dopo poco avevano esaurito acqua e carta, senza un bar o un po’ di acqua corrente. E non è la prima edizione, la 46esima!

 

Si fa!

Dopo una cena rifocillante con i soci e nuovi amici, la notte senza sonno per varie ansiette, la sveglia di nuovo alle 5, il vaporetto, la messa giù delle barche verso le 7 nel caos e nelle liti, siamo partiti e dopo aver percorso tutto il Canal Grande, siamo arrivati a San Marco giusto per sentire il colpo di cannone e partire. Che emozione! Da lì è stato tutto bellissimo: un fiume di kayak, bici, gig, dragonette, barche con vogatori alla veneta, tipo gondola, mezzi buffissimi e poi le onde, il mare, il vento, la difficoltà di non urtare nessuno, non troppo almeno. Il giro dura circa quattro ore e mezza per noi, bellissimo, timono in mare e non nelle strettoie, nelle micrososte mangiamo barrette e beviamo acque e sali, non litighiamo, andiamo, filiamo. Non prendiamo neanche una briccola, i pali di legno piantati nell’acqua. Poi il rientro. L’imbuto a Cannaregio è una follia: siamo tutti ammassati, ci spingiamo con i remi gli uni agli altri spostandoci e creando nuovi ingorghi, tipo autoscontro. La polizia fischia. Un sommozzatore con muta e pinne, dall’acqua, nuotando, ci sposta la prua, si può solo così perché non abbiamo l’agilità delle barche piccole. Delirio. Poi continuiamo. Arriviamo. Prendiamo al volo la medaglia, ripartiamo sul Canal Grande insieme a vaporetti, gondole, taxi. Cullati dalla stanchezza e dal ritmo comune: un respiro alla volta. Una vogata per volta, arrotondando i colpi.

Il nuovo delirio è all’approdo: c’è la fila, ci sono solo due zatterine blu volanti. Siamo tutti stanchi e fa caldo e tutti vorremmo scendere. Arriviamo: è fatta! Ah no, c’è ancora da tirare su la barca e portarla e i remi e tutto il resto nella stessa strettoia dell’andata. E poi sudati, accaldati, senza bar e con i 2 bagni in condizioni peggiori, si smontano gli scalmi, si tolgono i carrelli e si ricaricano le barche sul carrello. E poi ancora, con un misto di sale di mare e di sudore e polvere e sole che continua a cuocere sulla pelle si parte in pulmino, si viaggia col traffico del rientro dal ponte del 2 giugno e si arriva. Tutto questo non toglie la magia del remare con negli occhi e nel cuore la bellezza di una città che amo da sempre e nel corpo e nella testa uno sport che amo da 8 mesi.

 

Grazie Valentina, Lucia, Mauro, Cinzia. Grazie a tutte le nuove conoscenze, Grazie Riccardo. Ma soprattutto grazie Betta. E grazie Armida.