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L’arte di vedere oltre. A Camera la mostra dedicata a Eve Arnold

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L’arte di vedere oltre. A Camera la mostra dedicata a Eve Arnold

Ha ritratto con la stessa passione, curiosità e volontà di andare oltre gli stereotipi le star del cinema come Marilyn Monroe, Marlene Dietrich, Joan Crawford, Orson Welles, le rivendicazioni degli afroamericani, l’emancipazione femminile, i luoghi dei reportage di viaggio: Cuba, Haiti, Cina, Mongolia, Afghanistan, Egitto. Eve Arnold, prima donna, con Inge Morath, a far parte della agenzia Magnum Photos nel 1951è una leggenda della fotografia e a lei è dedicata la nuova mostra di Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino fino al 4 giugno.
Curata da Monica Poggi e realizzata con Magnum, “Eve Arnold. L’opera 1950-1980” raccoglie circa 170 immagini, molte mai esposte, della fotografa nata nel 1912 a Philadelphia, figlia di un rabbino emigrato dalla Russia e morta a Londra nel 2012, dai primi scatti in bianco e nero a New York degli anni Cinquanta fino agli ultimi lavori a colori della fine del secolo.
“Non volevo essere una “donna fotografa”. Questo mi avrebbe limitata. Volevo essere una fotografa donna, con tutto il mondo aperto davanti alla mia macchina fotografica” ha dichiarato Eve Arnold in uno dei suoi tanti scritti, molti dei quali accompagnano le immagini in mostra.
Ed eccolo il mondo che si apre davanti al suo obiettivo. Molti gli scatti iconici, dal ritratto di Malcolm X che le aveva concesso di seguirlo ai raduni dei Black Muslims, alla bambina nera con dietro il juke-box a Marilyn con ll ciuffo sugli occhi e il giubbotto di jeans e Joan Crawford nei suoi rituali di bellezza fra specchi, smalti e rossetti.
“La sua carriera – racconta Poggi – comincia quando le regalano una macchina fotografica poco prima dei 40 anni, frequenta un corso alla New School for Social research con Alexey Brodovitch e, come primo servizio, segue delle sfilate di moda ad Harlem. Il flash ha un problema tecnico, non funziona, e così si trova ad usare solo la luce naturale in ambienti bui come bar e night club e questo diventa parte del suo stile”.
La mostra segue due filoni: le opere sulle pareti blu e la vita sulle pareti arancio. Spesso le due linee si intersecano come quando, dopo aver perso un figlio, dedica molti scatti ai primi 5 minuti di vita dei neonati in cui “dopo aver lasciato la sicurezza e il calore del grembo materno sono schiaffeggiati, contrassegnati, pesati, lavati, unti, misurati, fasciati”.
Con le dive entra in empatia, va oltre lo sguardo spesso maschile che le ritrae belle e sensuali, riesce a cogliere una bellezza reale.
“Si racconta che – prosegue Poggi – Dietrich, dopo aver visto dei provini, le avesse chiesto di ritoccare alcune immagini in alcuni punti, mento, gambe. Arnold non ritoccò nulla, semplicemente fece ristampare le foto con particolare attenzione. Dietrich fu entusiasta”.
La mostra, attenta alle tematiche dell’accessibilità, propone un percorso tattile con 7 pannelli con audio-descrizione, la trasposizione audio dei testi di sala con QR code, un video introduttivo in lingua dei segni e le opere esposte sono posizionate a un’altezza un po’ più bassa del solito per consentire una visione ottimale anche alle persone su sedia a rotelle e ai bambini.