“C’è una crepa in ogni cosa e da lì entra la luce”
“C’è una crepa in ogni cosa e da lì entra la luce”. Lo canta Leonard Cohen.
Tutti noi abbiamo crepe e cicatrici, ferite e spessori che non fanno altro che permettere al taglio di ricostruirsi, e magari esagerano un po’ con troppa pelle. O squame. O spine.
Tutti siamo vulnerabili e sentiamo la fragilità degli altri.
A volte chi sente la nostra ci abbraccia e la crepa si salda un po’. Quiete. A volte invece infila dentro un coltello, una parola, una sua ferita, e lì è il disastro: si apre la voragine, ci rompiamo, andiamo in pezzi e sembra che i frammenti non si possano più incollare.
Il kintsugi giapponese riempie con l’oro le crepe. Le rende preziose, uniche, pregiate. Valorizza i punti fragili. Finché non incontriamo le nostre vulnerabilità senza temerle, ignorarle e scappare non possiamo incontrare quelle degli altri. E magari andiamo avanti a saltare a piè pari nelle loro ferite senza rendercene conto. Proprio quello che non voremmo. Ma non ne siamo consapevoli.
Oggi è il solstizio, è il giorno più corto con la notte più lunga. La crepa con la luce in fondo. Prediamoci cura di una ferita. Il sole torna, sempre, promesso.