Viaggio in Mongolia, giorno 16: come un cavallo sotto la pioggia
In Mongolia, come in molti luoghi del mondo, si possono vivere 4 stagioni in un giorno. Dopo un’alba nitida e luccicante facciamo una bella passeggiata per vedere il lago dall’alto, nell’alveo del fiume, nella pineta, nel bosco. Solo noi e qualche persona a cavallo. Arriviamo fino a un ovoo con un’energia potentissima. Gli giro intorno affidando alla terra e al cielo e ai misteri che scorrono fra una e l’altro la malattia di un amico che oggi ha un esame importante. Dove si sente questa potenza che scuote e fa quasi tremare non esistono spazio e tempo ordinari, non esistono distanze, tutto è presenza.
Sulla via del ritorno inizia a piovere. Poi piove sempre più. Acceleriamo i passi. Tsengel chiama l’autista per dirgli di venirci incontro. Gli diciamo che va bene camminare. Arriviamo zuppi, da strizzare, con tutto che gocciola. Lo zaino sulla schiena incanala 2 bei rivoli ai lati del sedere e proteggersi è impossibile. Non resta che lasciarsi ammollare. Nel dubbio meglio le parti scoperte che ricoperte e zuppe.
Poi tutto si rischiara ed è bello vedere la luce e le nuvole rispecchiarsi nel lago. Nel pomeriggio ripiove e io vorrei essere come i cavalli che stanno immobili sotto la pioggia lasciandola scivolare addosso, ricevendola con fierezza, dignità e stile. Ecco, vorrei imparare da loro ad accogliere quello che arriva, imperturbabile ma presente, viva.
Succede una cosa buffa. Dormiamo nella stessa casa-saloon di ieri al primo piano. Dalla cucina e dal piccolo emporio decidono di fare pulizia di scatoloni di cartone e li buttano tutti sulla scala. Quindi bisogna passare indovinando gli scalini e lasciando affondare le gambe negli strati di carta, con fiducia e cautela per non mettere un piede su uno spigolo.
Ma io sono zen, sono cavallo, sono Mongolia e lo faccio. Sorridendo.