Viaggio in Mongolia, giorno 13: l’energia del vulcano e del lago
Il tempo è bello oggi, le nuvole sono state spazzate via dal vento sapiente e potente del Nord. Si può passeggiare verso il vulcano Khorgo fra fiori rossi che sembrano lamponi pelosi e stelle alpine carnose. Per raggiungerlo si cammina sulle pietre laviche che sono tutte irregolari e rotolano sotto i piedi emettendo un suono molto piacevole: acuto, leggero, pieno di vuoto. Ogni passo ha una musica che dura il tempo dell’assestamento delle pietre nere e porose, sembra di camminare sul carbone dolce. Ogni passo è un massaggio che obbliga a una ricerca di equilibrio continua e di assestamenti dai talloni alla nuca.
Scopro che vorrei camminare a piedi nudi, che le scarpe da trekking con la loro suola spessa e isolante mi illudono, mi regalano una stabilità fallace, illusoria. E le caviglie lo sanno, diffidano.
C’è una strada turistica e una impervia e sconosciuta. Tsengel non ha dubbi su quale ci piaccia: camminiamo un paio d’ore e poi l’ultima salita, al vulcano, dura una ventina di minuti. Da lassù si vede il cratere e gli si può camminare intorno e la valle verde e nera e poi lo spazio della parte pianeggiante che, come spesso qui, dà un senso di vertigine. Infotografabile, imprendibile, inafferabile. Splendido. Si torna alla gher (stesso pernottamento di ieri) e 2 ragazze neozelandesi (vicine di gher) si tuffano nel lago. Io immergo gli alluci e un brivido risale fino al naso passando dalla schiena. Mario fa il bagno, soprattutto per il piacere di immergersi e lavarsi. Le conseguenze saranno un raffreddore della durata di 2 settimane ma ancora non lo sappiamo.
La notte passa veloce e dormendo bene. La famiglia mi ha prestato una coperta così pesante che non scivola sul sacco a pelo e mi protegge anche dai brutti sogni.