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Io lanzichenecca in terra straniera, in treno da Delhi ad Amristar

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Io lanzichenecca in terra straniera, in treno da Delhi ad Amristar

Sono salita su un treno che da Nuova Delhi mi porterà ad Amristar, al nord dell’India, confine col Pakistan.

L’ho fatto dopo aver volato di notte (e dormito pochissimo) ed essere atterrata a Delhi alle 5 del mattino. Il treno, partito da Calcutta il giorno prima, doveva partire alle 10 ma sul tabellone il ritardo continuava ad accumularsi.

Intanto in stazione ci sono 35 gradi, percepiti 40, tutti ci siamo assiepati sotto i ventilatori che non fanno aria neanche per una persona, figuriamoci per grappoli di centinaia. Molti mendicanti di varia origine ci chiedono denaro o cibo: bambine scalze e coperte di polvere, uomini  con i pantaloni arrotolati al ginocchio, donne cieche.

Intorno a noi molti buttano coperte a terra per dormire un po’, l’unica cosa fattibile a quella temperatura che fa colare il sudore dalle le dita delle mani e dalle sopracciglia.

Il treno arriva con quasi 3 ore di ritardo. Ho prenotato la cuccetta per avere l’aria condizionata che io odio a ogni latitudine se non quando boccheggio (e questo è il caso).

La cuccetta prevede due lettini, uno sopra l’altro di fronte ad altri due, non c’è scomparto, solo tendine azzurre. Lungo il corridoio una fila ininterrotta di cuccette, sempre con tendine.

In quello che dovrebbe essere il mio posto, il 37, carrozza 9, sono seduti un bambino e un ragazzo che mangiano e conversano con due adulti (i genitori?) nel loro posto. Mi ignorano.

Il capotreno mi porta lenzuola bianche pulite e copertina. Ho sonno e mi allungo, abbraccio il cuscino e chiudo gli occhi. I due ospiti si alzano malvolentieri, il piccolo va con gli adulti, il grande sparisce dietro la tendina.

Mi corico, cerco di dormire, il caldo, il sonno, la fame, il fuso, non so, faccio strani sogni lucidi e anche ludici. Intanto la signora e il signore non smettono di parlare a un volume altissimo, e carica il telefono, e rispondi a non so chi, e bevi una bibita gassata, e compra dhal e chai dagli ambulanti che salgono, e metti giù il bimbo e apri i biscotti, stappa la lattina, non un minuto di tregua.

Le stazioni di susseguono. Le risaie del Punjab (maggior produttore di riso indiano) brillano al sole, il mondo scorre, il treno accumula ritardo, si ferma in mezzo al nulla, salgono ragazzi sikh con turbanti e pugnali, scende la famigliola, salgono e scendono venditori di acqua, fritti, cibo di strada. Tiro fuori il mio quaderno viola e la mia biro blu, prendo qualche appunto. Tiro fuori anche un libro sulla sofferenza nel buddhismo tibetano ma mi si incrociano gli occhi dalla stanchezza. Mangio una banana. Bevo un po’ d’acqua.

Il treno perde ogni priorità e accumula ore di ritardo, fuori è buio. Dovevamo arrivare alle 15.40, è mezzanotte passata.