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India del Nord giorno 1: da Delhi ad Amristar

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India del Nord giorno 1: da Delhi ad Amristar

Atterriamo a Delhi alle 5 del mattino con quello stordimento euforico delle sveglie presto il giorno prima, del poco sonno in aereo e della felicità di fare voli lunghi dopo la pandemia.

L’aria è caldissima, umida, pesante nonostante l’ora, sembra di essere in un bagno turco, come se qualcuno alitasse sulle braccia e sulla faccia. Non so dove prendere l’aria, apro la bocca per respirare. In un attimo i vestiti sono fradici. Tempo di arrivare all’auto che ci porta in stazione.

Il treno per Amristar, partito ieri da Calcutta, è annunciato con 2 ore di ritardo. C’è tempo di fare una passeggiata a Chandni Chowk, il grande mercato a due passi dal Red Fort.

A quest’ora le bancarelle non ci sono ancora ma l’ambiente è popolato di persone che dormono a terra e qualche cane. Sono quasi tutti uomini in posizioni composte ed eleganti, come se ci fosse una grazia nella disperazione, una dignità nel depositare il corpo magrissimo a terra, una gentilezza come quando si ha a che fare con qualcosa di prestato e si usa il doppio dell’attenzione.

Qualcuno poggia su coperte, qualcuno a terra, un piede incastrato nell’incavo del ginocchio opposto, i gomiti piegati a coprire il viso. Qualcuno dorme sui rickshaw incastrando membra fra il sellino della bici e il sedile.

Tutto odora di polvere e cipolla e aglio e spezie e umido, la testa è vuota e mescola immagini reali a brandelli di visioni. L’aria è densa e luminosa, come una polvere rossiccia.

Passano due ore, andiamo in stazione. Il treno continua ad accumulare ritardo, ci procuriamo acqua, banane e qualche chana (cecio) speziato in bustina.

Ci piazziamo sotto il ventilatore e attendiamo. Donne, bambini, uomini, una processione infinita di persone che chiedono cibo o denaro. Intorno, molti si sdraiano a terra su una coperta con una rassegnazione dignitosa.

Scendiamo al binario, intanto il treno ha ormai accumulato più di tre ore di ritardo. Qui, sempre sotto la ventola, a cercare atomi di aria si vedono scene impressionanti: una donna scalza fruga nel bidone dell’immondizia in cerca di qualche scarto di cibo: dopo di lei un uomo con i pantaloni arrotolati sotto il ginocchio e la camicia sotto i gomiti di un colore ex chiaro ma ora grigio di polvere e sudore e sporcizia trova un piatto di carta dorato piegato in due a cui è rimasto attaccato un po’ di dhal e riso e lo prende, mangia e lo ripone. Mi si chiude lo stomaco.

Arriva il treno: abbiamo due lussuosi posti in cuccetta con aria condizionata. Qui le cuccette non sono chiuse ma sono una sotto l’altra, come i sedili degli scomparti ma senza porte e pareti e una fila di cuccette corre lungo il corridoio. Però ci sono le tendine azzurre da tirare per isolarsi.

Ci portano lenzuola pulite. Appena la famiglia indiana rumorosa e mangiante si alza alza da quello che sarebbe il mio posto mi sdraio e sonnecchio un po’.

Se tutto va bene dovremmo metterci 6 ore ad arrivare ad Amristar. Chiudo gli occhi, mi proteggo, devo farmi schermo della potenza disperante dell’India.

Il treno percorre una distesa infinita di risaie, prati, mucche. Tutto è piatto. C’è un pavone in mezzo a un campo. Mucche, riso. Ancora riso. Qualche stazione, qualche villaggio. Poi si ferma, fa soste lunghissime, accumula altre ore di ritardo e poi altre ancora. Eppure ho sempre viaggiato benissimo in India in treno. Si ferma nel nulla, gente sale e gente scende. Il ragazzo vicino a a noi è partito da Calcutta e va a fare trekking. Salgono venditori che offrono pakora e samosa e ad altri fritti, acqua, ma anche vaschette di plastica con dhal e altro cibo, tanto chai, il tè indiano con il latte. Io non posso mangiare latticini e questo odore animale mi accompagnerà in tutti i tè neri che berrò.

Manco dall’India da 8 anni, è la mia sesta volta qui ma in questo momento faccio fatica a ricordarmi perché mi piaccia e mi risuoni.

Il treno continua a stare fermo, ore, ore, ore. Diventa buio. Non si può più neanche vedere l’India scorrere fuori. Comincio a pensare che non arriveremo mai più. Lo so che tutto è impermanente e finisce ma questo treno forse è diverso. Forse è un buco nero. Intorno è buio, gente sale e scende. Pause nel nulla. Sono stanca e dispero di arrivare. Cosa di può fare? Attendere, respirare, meditare. Stare. Sto. Stiamo. Dovevamo arrivare alle 15.40, è mezzanotte passata.