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Das Himmel über Düsseldorf. Come è cambiata la Ruhr in 30 anni

Dusseldorf

Das Himmel über Düsseldorf. Come è cambiata la Ruhr in 30 anni

La nostalgia rende tutto splendidamente doloroso e dolorosamente splendido. In tedesco è “Heimweh”. “Heim” è casa, nel senso “home”, la casa come luogo del cuore, non dei muri. “Weh” è il male di quando si percepisce un dolore nel corpo. Quando 29 anni fa vinsi una borsa Erasmus scelsi la Ruhr per amore di Pina Bausch. La Ruhr era una zona di acciaierie e miniere nel Nordrhein Weslfalen (Renania settentrionale. Vestfalia) non lontano da Amsterdam e Bruxelles con un’altissima percentuale di persone immigrate da tutto il mondo. Scelsi la città più vicina a Wuppertal perché scrivevo la tesi su Pina Bausch e sul film che girò nell’89, ma tutto questo lo racconto qui. C’era un concentrato di città una dentro l’altra: Bochum, Essen, Duistburg, Dortmund, Essen e Wuppertal. Un’unica città dormitorio ricostruita di 5 milioni di abitanti perché la guerra aveva massacrato quella zona industriale: le acciaierie Krupp, la Zollverein, la più grande miniera di carbone d’Europa, oggi patrimonio Unesco e molte altre. Tutto era quadrato, freddo e spigoloso.

Ero partita, giovane universitaria che sapeva poco il tedesco il 31 agosto del 1993. I primi giorni erano stati durissimi e il cielo era sempre grigio. Orientarsi non era facile e fare una tesi sulla dea del teatrodanza (lo racconto qui) neanche ma ero giovane e incosciente. E poi sono arrivati gli altri studenti Erasmus e poi nuovi amici e poi e poi è stata una delle esperienze più belle della mia vita.

Non sono mai più tornata nella Ruhr. Qualche giorno fa la Lavanderia a vapore, dopo un progetto su danza e scrittura, “How do you spell dance?”, mi ha inviata alla Tanzmesse di Düsseldorf. E… la Ruhr è un’altra!

  • c’è il cielo azzurrissimo, in 4 giorni ho visto sempre il cielo bello, azzurro, profondo, terso, pulito, ventoso, luminoso, mai grigio come in passato;
  • C’è tantissimo verde: parchi, piste ciclabili, giardini, Biergarten, ristoranti all’aperto;
  • lo spazio del fiume (il Reno) è utilizzato per locali, birrerie, spiagge con sdraio, locali, spettacoli, eventi;
  • gli spazi industriali sono stati riconvertiti in case della danza, teatri, gallerie d’arte, laboratori artistici;
  • in molti spazi ci si sente così a casa che mi è capitato di usufruire di un bagno e, dopo che mi è stato offerto il caffè, lavare 5 tazze di sconosciuti insieme a quella che avevano prestato a me;
  • ci sono tantissime bici con piste apposite e parcheggi e naturalmente metropolitane, bus e tram;
  • l’aria profuma ancora di un misto di bretzel e kebab ma è più pulita e si sentono di più gli odori;
  • l’architettura è morbida e organica come nella zona Hafen progettata da Frank Gehry;
  • ovunque ci sono prodotti vegan (che si legge fegàn) e che sia per sempre o per un giorno si ha la possibilità di non mangiare animali e derivati;
  • ovunque c’erano acque aromatizzate al limone o al cetriolo o alla menta e tutti usavano borracce e nessuna plastica usa e getta.

E ora veniamo alle cose meno poetiche:

  • è arrivata la globalizzazione selvaggia e i negozi del centro sono i soliti di ogni città;
  • molti commercianti e locali non prendono carta di credito ma solo contanti perché hanno commissioni pesantissime (e il giorno in cui ho cercato di prelevare 4 bancomat su 4 erano ko);
  • non ho incontrato M-il mostri di Düsseldorf.