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India del Nord giorno 8: julèè, buongiorno Ladakh!

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India del Nord giorno 8: julèè, buongiorno Ladakh!

Il giro del lago Tso Moriri

Per capire come sarà la temperatura della giornata guardo sempre come si veste l’autista. Oggi non promette nulla di buono: indossa un piumino senza maniche con cappuccio. Partiamo per l’esplorazione del lago Tso Moriri, andando un po’ all’interno e in alto. Fa freddissimo, ci sono pascoli, pecore, asini, qualche tenda di popolazioni nomadi, pietre sovrapposte in equilibrio e tantissime bandierine colorate. Recitano preghiere e le affidano al vento, Om mani padme um, invocazione al gioiello del loto e al bodhisattva della compassione Avalokitesvara (colui che guarda verso il basso, spesso rappresentato con mille braccia). Il vento le porta lontanissimo, a beneficio di tutti gli esseri. Nelle grotte, appena visibili dall’auto, ci sono anche piccoli oggetti dorati, piccoli simboli buddhisti. Scendo per vederle, un senso di spiritualità viva e semplice. Intorno a noi cime alte oltre 6000 metri.

Dopo qualche ora il giro finisce. Piove e fa freddo. Chiedo di andare dall’altro lato del lago, che è zona militare, con strada in ottimo stato. Molto bello ma anche così facendo, è sempre presto. Come riempire la giornata?

 

I bambini di Korzok

Il villaggio di Korzok è minuscolo e andiamo a prendere il tè in un piccolo locale che fa dhaba (trattoria) e rivendita di poche cose. La signora ha un piede che muove e poggia male ma si destreggia fra pentole e oggetti con agilità. Ho con me il quaderno, come in ogni viaggio. Qui non ci sono telefoni, wi-fi, reti, siamo fuori dal mondo. Però ci sono i bambini che sorridono e urlano Jullèè, Jullay, Juley che significa buongiorno, ciao e anche grazie! E che d’ora in poi sarà il saluto del viaggio. Metto il quaderno e la biro a disposizione e così disegnano mangiando patatine offerte dalla signora: un cavallo con un cavaliere, delle case, un camper, un telaio con una donna che fila, delle persone con bandiere indiane e un militare con fucile. Mi scrivono i loro nomi, parliamo in inglese. Entra un monaco vestito di rosso scuro, compra qualcosa. Entrano un nonno con un nipote e mangiano dhal e riso fatti al momento dalla signora. Non smette di piovere. La strada fuori è fangosa.

 

Fra templi e piccole gioie

Usciamo per andare a visitare il monastero (gompa) qui sopra, ha 350 anni. Ci sono simboli, preghiere, colori, draghi, manguste. Seguiamo due monache che si fanno foto a vicenda. Non abbiamo ancora incontrato un monaco o una monaca senza telefonino. Mala (catena con 108 grani) in una mano, telefono dall’altra. Passeggiamo fra gli stupa, piccoli monumenti che di solito contengono reliquie, giriamo le grandi ruote delle preghiere facendo suonare le campane. L’atmosfera è bellissima.

La sera scopriamo che c’è l’acqua calda, intermittente ma c’è. Allora ecco che entra in scena il metodo del secchio grande per miscelare e quello piccolo per lavarsi. Sono affezionata a questo metodo di lavaggio che nelle case indiane si trova spesso (nei miei 3 mesi a Mumbai lo usavo sempre) e permette di non sprecare, dosare e apprezzare la meraviglia del dono dell’acqua. La sera si va a letto presto: biancheria termica lunga, cuffia in testa, calzini e tante tante coperte. Il naso resta fuori e gela, oltre ad avere sempre le crosticine di sangue rappreso. Si respira come si può, si dorme come si può. Si sviluppa gratitudine per ogni atomo di ossigeno, qui a quasi 4600 metri.