Top

India del Nord giorno 6: Sarchu e la notte più lunga

cucinacampeggioSarchu

India del Nord giorno 6: Sarchu e la notte più lunga

La BRO, sempre più in alto!

La strada che da Manali va a Sarchu sembra quegli enormi zig-zag sei disegni dei bambini che tagliano la montagna (a punta) in tre parti e sono in cima.

Montagne spoglie perché siamo in alto, neve, pioggia, Baralacha La, passo a 4800 metri, cascate, un paio di camioncini coloratissimi volati al fondo della montagna a ruote in su come insetti a zampe in sù che nessuno ha recuperato (mandare un carro attrezzi su queste strade è complesso) un po’ come avvertimento.

Le strade indiane di montagna sono gestite dalla BRO, la Border Road Organisation che comunica con cartelli gialli e neri dalle scritte fantasiose tipo “We will either find a way or we will make one” o “Peep peep don’t sleep” o “After whisky driving is risky”.

Tantissimi uomini e donne lavorano per rendere l’India del Nord sopra i 4000 m percorribile: armati di scope e bacinelle spostano massi che la montagna regala, costruiscono ponti, allargano strade.

Ogni tanto, da qui in poi, troveremo file ferme perché una scavatrice, una ruspa, un martello pneumatico sta lavorando con decine di persone intorno: chi fa, chi osserva, chi riposa. Sembrano colonie di formiche che spostano briciole più grandi di loro.

Incontriamo anche degli australiani che stanno facendo il viaggio in tuk tuk, tante persone in moto con le taniche di benzina, molti in auto come noi.

La notte più impegnativa

Arriviamo nel primo pomeriggio a Sarchu dove passeremo la notte in tenda perché non ci sono altre strutture. A 4200 metri, lontano da tutto e tutti.

Il mio acclimatamento è stato aiutato dall’arnica che prendo ogni due ore, ma mi si è aperta la bottiglia in macchina e un po’ l’ha bevuta il sedile.

Appena arrivati va tutto bene, leggero mal di testa, anche da ciclo, un po’ di freddo, ma dopo una piccola passeggiata il mal di testa diventa insopportabile, come se avessi un elefante seduto sulla fronte. Mi viene una nausea fortissima, zero fame, la sensazione di stare per vomitare. Eppure ho bevuto tantissima acqua per prevenire il malessere da altitudine. In più fa freddissimo.

Apri e chiudi le cerniere della tenda, va in bagno, sempre nella tenda, insomma dopo un po’ sono costretta a sdraiarmi e coprirmi con tutte le cose termiche che d’inverno uso per remare e due coperte spessissime. Niente il mal di testa peggiora. Appena muovo gli occhi mi viene da vomitare anche quello che non ho mangiato.

Che fare? Prendere il Diamox? Non prendo mai farmaci e mi fa paura. Aspettare? Sì, certo, a Cuzco a novembre non avevo dormito dal mal di testa ma dopo l’ossigeno ero stata meglio ma almeno lì c’era un saturimetro.

Mi portano l’ossigeno, respiro nella maschera per 10 minuti ma respirare è difficile, il naso si secca e si copre all’interno di piccole crosticine sanguinolente, la bocca aperta secca la gola.

Ottima l’assistenza di Mario, dell’autista Jagdish, della guida dei due ragazzi giapponesi che sono ospiti con noi e dei gestori del campeggio. La guida mi dice che devo mangiare assolutamente, meglio vomitare che non mangiare nulla. Arriva l’ora di cena ma non riesco ad alzarmi da letto.

Mario mi porta una zuppa e del pane ma non riesco neanche a mettermi seduta.

La zuppa d’aglio: ogni luogo ha i suoi rimedi

Più sul tardi ma qui il tempo si confonde perché un po’ sogno, un po’ sonnecchio, un po’ ho delle visioni coloratissime, non sono lucida, la guida mi porta la soluzione a tutti i problemi: la garlic soup. Una zuppa composta da acqua bollente, pezzettoni di aglio e sale. Sono certa che vomiterò.

Si piazzano tutti intorno al mio letto e guardano che la beva tutta. Io no ho nulla da perdere, peggio di così non credo di poter stare e allora bevo tutto e poi ricrollo a letto.

Non vomito. Sto lì paralizzata ad aspettare. Arriva il buio. Non riesco a dormire. Nella notte però ripasso tutte le tecniche meditative che conosco: parto dallo yoga, pranayama vari, anuloma viloma, ujjay, mantra, mindulness, samata, vipassana, niente. Niente funziona. Ci posso stare un respiro? Solo uno? Ni.

Ho freddo e mal di testa e penso che forse morirò stanotte. L’autista si offre di portarmi a un villaggio a 3 ore. Se morirò sarà grata della vita fatta fin qui e a tutte le persone che hanno percorso un pezzo di strada con me.

La notte dura circa 2 o 3 anni ma per fortuna tutto finisce. Non sono morta, sto un po’ meglio. Alle 6 faccio colazione nella tenda-cucina (foto) che almeno ha le pietre come pareti: porridge con acqua bollente e tè. Ci rimettiamo in moto, forse il peggio è passato, la prossima notte si dorme più in basso.