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Lasciar ondare, con la o. Proprio con la o

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Lasciar ondare, con la o. Proprio con la o

Lascia andare

Lascia andare. Te lo dicono quando ti arrabbi o quando qualcosa non va. Lascia andare. Quando vedi che sei attaccata a qualcosa che deve fare il suo giro. Lascia andare. Alla lezione di mindfulness. Lascia andare. Quando a yoga facciamo un asana e poi rilassiamo tutto e sentiamo gli effetti nel corpo. Lascia andare. Ti ripeti alla fine di un amore. Lascia andare. Quando vivi un lutto. Lascia andare. Quando una cosa piacevole è finita e ne vorresti ancora, anche solo un morso.

In questi giorni ho capito che “lascia andare” spesso è un’espressione automatica e poco verosimile. Se stavo bene con te, col cavolo che ti lascio andare. Se era bellissimo essere in vacanza a guardare il mare, non mollo no.

 

Lascia ondare

Allora sarebbe più giusto, anche se in italiano non esiste ancora, imparare a “lasciar ondare”. Ogni cosa nasce, cresce e muore, come un’onda. Ogni cosa è vibrazione, andata e ritorno, inspiro, espiro. Elogio dell’impermanenza, dell’effimero e del cambiare. E allora forse potremmo lasciar “ondare”: trovare il modo migliore per abitare l’onda. Nulla di passivo ma un modo attivo e vitale di vivere l’esperienza godendo di ogni sua fase. L’incertezza euforica dell’inizio, la potenza travolgente dello sviluppo, l’abbandono della fine, sfilacciata o netta che sia.

Lasciar ondare ha in sé un fare, un partecipare, un esser-ci. Nel vivo, nel farsi unico del momento, nel non essere mai ripetibile. Lasciar ondare è aprirsi alla consapevolezza del transitorio, alla meraviglia dell’istante, alla pienezza del non più e non ancora abbandonando l’illusione del controllo. Surfando, cavalcando, ondando.

Buone onde