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Viaggio in Mongolia, giorno 6: cammelli, sabbia e vento

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Viaggio in Mongolia, giorno 6: cammelli, sabbia e vento

Il tempo, nella vita nomade, è lento e veloce insieme, difficile da capire. A scandire le attività sono gli animali, tutto dipende da loro; la luce che in questo periodo prevale sulla notte e le condizioni atmosferiche. Così ci sono momenti di pura contemplazione e momenti in cui accade tutto insieme. Un amico qualche giorno fa mi ha chiesto se in Mongolia ho meditato. Gli ho risposto che sì, circa 24 ore al giorno perché per la maggior parte del tempo non puoi che stare con quello che c’è, qualsiasi cosa sia.

La mattinata parte con la passeggiata a cammello. Di solito odio sfruttare gli animali per cose ludiche ma qui è un modo di sostenere la famiglia che ci ospita. La passeggiata è piacevole, il mio cammello ha un buon odore e una buona indole. Hanno qualcosa di maestoso e regale, i cammelli, nella loro statura e calma, ma anche qualcosa di buffo, soprattutto quando masticano con quei labbroni che si cercano, sopra e sotto e di lato e sotto e sopra.

Il deserto cambia sapore a bordo di un cammello, sembra ancora più vasto e io mi sento sempre più piccola e persa.

Tornata dalla passeggiata gioco con la bimba più piccola della famiglia. Ho una marionetta da dita a ranocchio che la tiene impegnata per 3 secondi. Il vero gioco che la appassiona è la scatola delle medicine: un bauletto trasparente da “tenere fuori dalla portata dei bambini” e che invece lei possiede con fierezza. Mi misura la febbre e poi mi mostra, blister per blister, quel che ha. Ogni tanto tira fuori una pastiglia e se la porta alla bocca, le più colorate, cerco di dissuaderla a cambiare gioco, niente; a fare finta, senza ingerire nulla, a non buttare pastiglie per terra.

Dopo pranzo andiamo a fare una passeggiata vicino al fiume dove lo spettacolo è meraviglioso: una striscia di acqua, una striscia di erba popolata da cavalli e cammelli, lo sfondo della duna a un passo e il cielo blu: cartoline dalla Mongolia.

Cambiamo posto dove dormire, andiamo in un gher camp con doccia e servizi. Evvivaaaa.

La sera andiamo a vedere il tramonto sulla duna. Bisogna arrampicarsi e la sabbia cede sotto il peso dei passi, si fa molta fatica, si affonda. La nostra guida toglie le scarpe e così faccio anche io: si va molto meglio. I piedi hanno una suola meravigliosa, tipo vibram, resistente e flessibile, e poi ci sono 5 fantastici appigli in punta che si aprono e si piegano e afferrano i granelli e li rilasciano, grip ottimo, drop imbattibile.

Quando la pendenza si fa sentire adotto la tecnica della quadrupedia: uso anche le mani per salire e tutto diventa più semplice: il corpo organizza i carichi, al piede destro lascio seguire la mano sinistra e poi il contrario e… sono sù.

A salire con noi ci sono centinaia di coreane e coreani con i bob, sono rumorosi e urlanti. Arrivati sulla cima della duna, dopo una buona mezzora di cuore che pompa come in una gara di fondo di canottaggio per scalare meno di 200 metri, ecco lo spettacolo della distesa di dune accese dal sole. Wow. Il vento spinge la sabbia contro la pelle, punge, e bisogna ancora camminare in cresta per trovare un po’ di privacy, insieme ad altri europei, anche loro basiti da tanto rumore.

Quando il sole va giù i bob scendono resistiamo ancora ad aspettare che il clamore scenda e resti la luce con i suoi arancio e rosa e gialli. E poi scendiamo lasciando cadere il peso sui talloni e affondando. Ci aspetta una gher lussuosa con letto matrimoniale (di solito i lettini sono intorno) e lenzuola con coperte (così non dovrò combattere con le pareti strette e piene di cerniere del sacco a pelo), raggi arancio decorati, tappezzeria colorata e pure un tappeto. A soli 100 metri il complesso dei bagni, dove la doccia toglie le sabbia, quella che non troveremo nei vestiti, nelle cuciture e nelle tasche nei prossimi giorni.