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Il ritiro di vipassana online: un pieno di silenzio, saggezza e compassione

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Il ritiro di vipassana online: un pieno di silenzio, saggezza e compassione

Premessa

Vipassana è la meditazione di visione profonda, quella aperta che non si concentra su un singolo oggetto ma osserva, come un testimone attento, quello che accade nel corpo-mente. Provo a raccontare la mia ultima esperienza. Non mi sento Carrère con “Yoga” (da leggere assolutamente) ma proverò a fare un piccolo diario-riassunto alla fine della settimana di ritiro. Durante proverò a non scrivere nulla o quasi. Solo qualche appunto sparso perché non voglio attivare la mente discorsiva, quella che con le parole vive ogni giorno.

 

Il ritiro programmato

Ogni tanto un ritiro nel nobile silenzio fa bene. Ne ho fatti alcuni in presenza: 2 giorni, 5 giorni. L’ho raccontato qui. Questa volta è diverso. Sarà un ritiro di una settimana a fine agosto in un monastero della Sabina con Henk Barendregt, logico olandese e insegnante di Dharma, Mirjam Hartkamp, psicologa e insegnante di Dharma e il prof. Antonino Raffone. Con i primi due ho già fatto un ritiro online quando eravamo in pandemia, Raffone è il propulsore del Master in Mindfulness alla Sapienza che mi ha cambiato la vita. Sono pronta a maggio quando decido. Non vedo l’ora. Anche perché sono in mezzo a tante onde e non può che farmi bene.

 

E adesso che faccio?

Poi succede che arriva l’estate. Scopro di aver bisogno di silenzio e pace e vacanza lontano da tutto e tutti e così passo l’intero mese di luglio in un monastero marchigiano a fare un corso di 300 ore per insegnanti di yoga. Bellissimo, non guardo mail e social per un mese, parlo inglese, mi sveglio all’alba, pratico, studio ma la disciplina richiesta è tanta. Così l’idea di richiudermi in un monastero dopo 20 giorni mi angoscia un po’. Decido di farlo online. Non farlo mi spiacerebbe. Ma partire e di nuovo dormire in letti singoli e finestre piccole con muri spessi intorno, anche se il posto è incantevole no, non me la sento. In più ho appena rotto un menisco e ho un ginocchio infiammato e dolente. Stare seduta a gambe incrociate non è una buona idea. Se sto a casa posso mettere un cuscinetto sotto e ghiaccio fresco sopra. Questo è il primo passo di un atteggiamento compassionevole verso me stessa. Il secondo ostacolo, se così possiamo chiamarlo, perché non lo è affatto ed è meraviglioso, è che mi sono innamorata, proprio adesso, proprio a pochi giorni della partenza. L’amore fa così, arriva quando meno te lo aspetti e quando smetti di cercarlo. E la fase innamoramento è bellissima, tutta da vivere, con le sue farfalle ma anche le sue ossessioni, i bisogni di pelle e baci, la testa leggera, il sorriso scemo, il tempo che vola e poi si blocca e tutto è sottosopra.

Decido di farlo online. Come tante cose dopo questa pandemia. No, non è la stessa cosa ma è quello che sento ora e lo rispetto. Sono stata troppe volte soldatessa. Ora no. Lo farò con tutto l’impegno e tutto il cuore, rispettando tutti gli appuntamenti ma dormirò nel mio letto circondata dai colori e dai profumi che conosco. La prima pratica guidata è alle 6.15, ci sono e ci sarò sempre. L’ultima, serale è la metta delle 21.30 poi buio da zoom.

La giornata è scandita da meditazioni di 40 minuti: camminata, poi seduta, poi camminata, poi seduta. E così via. Al mattino ci sono istruzioni. Alla sera c’è un discorso di Dharma bellissimo, ricco e profondo, e ognuno di noi ha un momento di colloquio durante la giornata, ma per il resto tutto è silenzio, anche i pasti consapevoli. Silenzio delle parole, degli sguardi, dei telefoni, dei social, del lavoro, di internet.

 

Primo giorno

Da subito mi accorgo che la meditazione seduta è dolorosa per la postura: mi distraggo, mi allontano, mi arriva questo visitatore potente che è “io voglio stare con lui” ma quando è così apro gli occhi e tutti gli altri e le altri sono lì seduti su zafu, panchetti e sedie, allora anche io. Mi aiuta. La camminata invece è faticosa: la casa è una trappola. Non c’è contatto con il Sangha, la comunità dei praticanti. Sei lì che vuoi sentire bene il piede che si alza, l’altro che poggia e sdeng, l’occhio cade su una briciola sotto il tavolo, vuoi non raccoglierla? Riparti e sbang! L’occhio cade su un ricciolino di polvere che galleggia nell’aria con la corrente fra le finestre. Ti prendo. No ti lascio. No ti prendo. Sembro una fissata della pulizia. Non è così, ma nella camminata, tutto mi attira più del mio passo, oggi almeno. Sono stanca, dubbiosa. Mi chiedo che ci faccio qui. Alterno avversione a dubbio, dubbio ad avversione, due degli ostacoli alla pratica. Il ginocchio fa male e così qualche seduta la faccio sulla sedia, col ghiaccio sul ginocchio.

 

Secondo giorno

Questa voglia di stare insieme non mi molla. Lui ha capito e approva la scelta del ritiro, non pressa, anzi. Sa farsi da parte. Ma io lo voglio qui e comunque è qui. Come fare? Alla fine nel colloquio con Mirjam scopriamo una cosa interessante: più che un amore autocentrato quell’energia del cuore può diventare metta, gentilezza amorevole, ed abbracciare altri esseri. Il cuore sorride. Sto meglio. Seduta provo a stare e sto. Camminare è distraente e allora esco, vado al parco e cammino lì, almeno una volta nel primo pomeriggio ed è bellissimo: l’erba, il sole, i rumori. Ah il passo, qui dobbiamo stare, uno per volta.

Da seduta mi accorgo che faccio fatica a stare col respiro naturale. Lo sento entrare e uscire, andare e venire ma un po’ mi viene da giocarci, controllarlo, sfidarlo. Faccio fatica a lasciarlo emergere dopo una pausa, mi spingo un po’ nell’apnea. Fino a quanto posso resistere? Alla fine sei sempre tu, caro vecchio ego che mi fai fare questo gioco assurdo. Lasciami stare, lascia che sia.

 

Terzo giorno

Improvvisamente mi accorgo che i colori sono più vividi: la mente scappa e viaggia ma le foglie degli alberi sono quasi blu e il giallo è superbrillante, un effetto quasi psichedelico. Mi piace, mi ci affeziono un po’. Alla passeggiata nel pomeriggio al parco, confermo: l’erba è blu.

 

Quarto giorno

Oggi si scioglie qualcosa e all’improvviso mi faccio ridere. Una buona notizia. Se riesco a ridere di me, della mia rigidità e serietà, dell’erba blu, del respiro che non vuole scorrere e si inciampa nel diaframma, allora sono sulla strada buona: quella della leggerezza nel senso di Calvino, “planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore”, non superficialità ma leggerezza e umorismo. Meno ego e più sorriso, un sorriso del cuore, morbido, inclusivo che abbraccia anche la distrazione da innamoramento, la melanzana al forno che mi porti perché io non esca a far la spesa, l’abbraccio rimandato.

 

Quinto giorno

Scopro di avere un ego dormiglione. Faccio fatica a svegliarmi all’alba e a sedermi alle 6.15 ma si fa e quando mi seggo, un po’ stropicciata, lui dorme proprio. Mi lascia fare, non fa agguati, non fa strategie, a volte molto raffinate. L’ego è un animale: a volte è sornione ed elegante come un felino, a volte prepotente come una iena (però ride), a volte ingombrante senza cattiveria come un elefante. Ma il mio dorme e le prime pratiche del mattino diventano le meno difficili: c’è respiro così come arriva, ci sono sensazioni e pensieri ed emozioni e “mi piace, non mi piace” ma riesco a lasciarli passare, testimone di quel che c’è. Mi sento isolotto nel mare con intorno barchette di carta che beccheggiano, messaggi in bottiglia che transitano, rifiuti che fanno capolino, formine che galleggiano. Sto, scorro con loro. Stiamo.

 

Sesto giorno

Oggi alla passeggiata al parco succede una cosa bellissima. Cammino pianissimo, sollevo, appoggio, sposto il peso avanti, torno indietro come in una danza ma sono lenta, calma, attenta. Non mi preoccupo di cosa pensano le persone intorno: ci sono alcuni portatori di cani, delle ragazzine che giocano, qualche famiglia. A un certo punto arriva un cane di taglia grande, potrebbe essere un pastore di non so dove, secondo me femmina, si accosta. Sta con me per qualche passo. Spesso gli animali sentono le onde calme delle meditazione e stanno. Lei, mai vista prima, è speciale. A un certo punto mi si appoggia su una gamba. La accarezzo. Vorrei alzare lo sguardo a cercare il suo padrone, ma sono in silenzio e quello sarebbe comunicare e cercare approvazione (una delle mie malattie croniche). Forse non dovrei neanche accarezzarla, ma invece sì, scelgo la cosa più morbida, la via di mezzo. Suona il timer. Fra 5 minuti scatta la meditazione seduta. Devo tornare. La lascio lì. capisce. Non cerco nessuno sguardo. Mi sorride il cuore.

 

Settimo giorno

Gratitudine immensa. infinita. Per i maestri, per la qualità dell’insegnamento, per i contenuti, per avercela fatta, per il ginocchio, per te che mi hai aspettato, per me. Tanta gioia, tanta pulizia, tanta meraviglia. Tanto entusiasmo, una delle mie parole preferite: Dal greco “en, theos, ousia” con la presenza di Dio dentro, una gioia che travolge e coinvolge e centra ed è infinita. Al di là di ogni credo. Ho vissuto un’esperienza potente, trasformativa, che lascerà i suoi effetti nel tempo.