Viaggio in Mongolia, giorno 11: Naadam, le olimpiadi delle steppe
Una festa di due o tre giorni, ma la Mongolia è in vacanza per tutta la settimana, in cui le persone si trovano nelle città per festeggiare e sfidarsi. Le discipline sono 4: la corsa a cavallo, suddivisa in 6 specialità a seconda dell’età del cavallo; il tiro con l’arco; la lotta e il recente lancio dell’astragalo.
Prima di tutto questo c’è la cerimonia di inaugurazione. Qui a Kharkorin metà dei biglietti venduti li hanno comprati turisti stranieri tramite agenzie locali. La cittadina è piccola, sarà un Naadam non affollato, ombreggiato e piacevole. A metà fra la sagra di paese, la festa dell’Unità, le Olimpiadi e i giochi della gioventù.
Il prima è bellissimo: mamme che acconciano figlie con trecce e costumi, papà che danno gli ultimi consigli ai figli a cavallo, persone che allestiscono le varie bancarelle dove si può gustare il khuushuur, la frittella di montone (ma c’è anche la versione con verdure), l’airag, il latte di cavalla fermentato, gelati e altro.
Ci sono le autorità religiose e laiche per l’alzabandiera, l’inno nazionale, i canti khoomei, di gola profonda, la diplofonia che permette di sentire 2 suoni: quello gutturale e uno più alto allo stesso tempo. Tutta la musica sembra correre a cavallo, trotta o galoppa.
Poi su varie musiche i bambini e le bambine danzano, sfilano in un clima di festa, allegria e bellezza. Ci sono i visi preoccupati, gli sguardi di intesa, gli ultimi ritocchi come prima di ogni esibizione. Intorno all’arena con tende e spalti smontabili di 3 gradinate (io scelgo l’erba con sotto le scarpe da ginnastica a proteggere gli ischi) i cavalli girano 3 volte in senso orario.
Si comincia con i cavalli. La polizia gestisce le transenne in ordine e con calma, c’è attesa. Si vede la polvere lontano, lì sta succedendo qualcosa, ed ecco sfrecciare ragazzini impolveratissimi, giovanissimi, quasi sempre a pelo. Sono così veloci che all’arrivo gli allenatori corrono a frenare i cavalli lanciati, tranne quelli che agli ultimi metri sono spompi e non corrono più. Per loro c’è una coperta a proteggere dopo la sudata. Tutto è super emozionante e festoso.
C’è la lotta, una sorta di sumo che ha un’eleganza unica soprattutto nella ritualità. I due sfidanti, uno rosso e uno blu indossano stivali decorati con la punta in sù (serve a non far gelare i piedi d’inverno), un costumino tipo mutanda, un cappellino con 4 falde e una punta e un coprispalle che copre solo le braccia e lascia libero il torso. La leggenda dice che una volta una persona abbia battuto tutti gli atleti con grande astuzia ed era.. una donna.
Nel rito danzano come aquile con un passo in cui le braccia simulano le ali e i piedi poggiano con delicatezza e decisione a terra. Dopo il combattimento chi ha perso deve slacciarsi il corpetto e abbassare il capo per passare con umiltà sotto chi ha vinto.
Il tiro con l’arco è elegantissimo, si punta in alto la freccia e poi si scende altezza spalle e si lascia andare cercando di colpire l’obiettivo a 40, 50 o 60 metri.
Il lancio dell’astragalo invece è il lancio di un osso piatto da una specie di balestra lasciando schioccare l’indice contro il pollice. Meno appassionante.
E poi di nuovo cavalli ovunque. Giustamente ci si muove a cavallo per guardare la gara di cavalli. Siamo gli unici 3 a piedi in mezzo a una folla di persone di ogni età sedute, ma alcune anche sdraiate o intente a digitare sul cellulare io fare foto, su equini. Il legame coi cavalli è intimo, speciale, spirituale. Spesso le coppie (mariti e mogli o padri e figli) indossano qualcosa di uguale o un colore che richiama o hanno cavalli dello stesso colore.
Una mattinata super emozionante. Sono venuta in Mongolia per vedere il Naadam e avevo paura che mi deludesse. Invece no. Ottima anche la scelta di partecipare a uno minore e non a quello gigante a Ulanbator.
Al pomeriggio mi aspetta la visita del monastero di Kharkhorin Erdene Zuu (cento tesori), il primo della Mongolia fondato nel 1586. Chiuso dal 1937 per via delle purghe, fino al 1965 quando è diventato museo ma non luogo di culto, è tornato in attività dal 1990, con il crollo del comunismo. Contava un centinaio di templi e molte gher (fra cui una gigante) ma solo 3 sono sopravvissuti: uno dedicato all’infanzia, uno all’adolescenza e uno all’età adulta del Buddha. Qualche monaco, prima di essere deportato nei gulag, ha messo in salvo maschere tsam e thangka. La bellezza trova sempre una via per sopravvivere. Intorno 108 stupa.
La sera è festa. Ci sono i negozietti che affittano i costumi tradizionali per fare foto e un clima di vacanza.
Da Khanrkhorin è tutto. Tanta gratitudine.