Traslochi in treno, donne e forza fisica
Tornavo da Genova in treno. Ad Asti è salito un ragazzo giovane, chiodo e jeans strappatissimi, con una valigia più grande di lui, uno zaino portato su una spalla, una tracolla e due buste giganti di plastica bianca da cui spuntavano attaccapanni, asciugamani e un paio di pantofole. Era agitato, al telefono, le mani non gli bastavano e lo spazio neanche. Si è seduto di fronte a me. A Porta Nuova si è preparato per scendere. Lo zaino aveva una spallina rotta perché lo fanno apposta, si rompono sempre quando è il momento peggiore. Ma anche i manici di una delle due buste di plastica era spezzato. Stesso discorso.
Gli ho chiesto se voleva una mano. Era imbarazzato: “Ma no, lei è una signora. Mi dispiace, sono pesanti”. A fianco a noi c’era una coppia che aveva mini trolley ed è andata via. Un ragazzo con le cuffiette è scappato perso nel suo mondo. “Ti aiuto anche io” è apparsa una ragazza altissima con accento del sud. E così ho preso la busta coi manici funzionanti, pesantissima, la ragazza ha preso lo zaino rotto. Il ragazzo ha messo la busta rotta sulla valigiona con ruote, su suggerimento della ragazza alta, ma anche così era importabile, si apriva e cadeva da ogni lato e poi c’era la tracolla e ci siamo avviati verso il bar dove avrebbe dovuto esserci qualcuno ad aspettarlo. Camminando lungo la banchina del treno ho ripensato alle volte in cui sono tornata da viaggi con tante cose: dall’Erasmus in Germania dopo 6 mesi, da un corso di francese di 2 mesi a Tolone, piena di libri e pezzi di cuore. Siamo arrivati, lo abbiamo lasciato lì. Aveva negli occhi la gratitudine e lo spavento di chi comincia una nuova vita. La ragazza alta e io ci siamo salutate. Buona vita ragazzo che trasloca in treno. Grazie a noi ragazze con gli occhi attenti e le braccia forti.