Ferragosto a Torino: l’alluce che guarda il cielo.
La città non è deserta. È popolata di persone e cose diverse. Cose che quando la città è piena passano inosservate. O forse cose che, proprio perché c’è meno gente in giro, hanno il coraggio di uscire allo scoperto. Cose che sono così orribili che possono sbucare solo quando le difese immunitarie sono ridotte al minimo dall’afa. Cose che modificano l’estetica della città e il concetto di eleganza che i numerosi stranieri incontrati in centro ci riconoscono. Così mentre nelle vie svuotate sfrecciano auto insolite e nelle zone pedonali si sente parlare francese e inglese e si vedono coppie giovani con bambini piccoli srotolare cartine e chiedere informazioni, ecco cosa succede agli autoctoni.
Nella settimana di Ferragosto ho osservato i non molti frequentatori di mercati, parchi, cinema e ho trovato cose che pensavo fossero scomparse o fossero ormai relegate al ricco terreno dei luoghi comuni in via di estinzione. Invece sono più vivi che mai. Evviva la comodità.
Partiamo con l’uomo. I mostri esibiti sono: 1) la ciabatta da piscina di plastica nero o blu con le righe bianche sulla fascia che gira intorno alle dita, rigorosamente sciabattante a accompagnata da andatura sciatta, schiena un po’ indietro e pancia un po’ avanti; 2) l’immarcescibile canotta a costine bianca, un po’ slabbrata; 3) il pantalone corto o peggio il bermuda o peggissimo il pinocchietto da cui spunta un polpaccino così bianco da sembrare violetto; 4) il borsello nero, un po’ corto, portato sulla pancia, diciamo rilassata; 5) in alternativa il marsupio colorato direttamente dagli Anni Ottanta.
La donna: 1) le spalline dei reggiseni in silicone che dovrebbero essere invisibili e invece sono ingiallite dal sudore, verrebbe da andare a liberare quelle porzioni di schiena appiccicose aderenti alla pellicola trasparente come pezzi di carne in frigo; 2) le mezze tinte e le mezze permanenti, ovvero capelli con ricrescite di ogni colore, ricci per una parte e lisci per l’altra, frutto di un bagno in piscina e uno in mare e poi mi sistemo; 3) il trucco sudato che lascia tracce e ombre, forse sarebbe meglio non truccarsi; 4) i brasot, le bracciotte flaccide esaltate da abiti smanicati; 5) infine lui, il re dell’estate, l’alluce valgo dipinto di rosso strizzato in sandali con zeppe, di solito bianchi: legno, sughero, corda, cuoio, il materiale con conta. Importa che la scarpa si chiuda sulla punta lasciando libere solo 2 dita. Per contendersi quello spazio di cielo l’alluce si strizza sempre più addosso al melluce (secondo dito) che a sua volta è strizzato dal trillice (il terzo dito) compresso da pondolo e mellino (sono quarto e quinto, non i 7 nani). Il tutto aggravato dal tacco che spinge il peso tutto sulle povere dita già schiacciate. Per questo non è raro vedere un dito trionfante, accavallato sugli altri, che con aria sorniona ti dice “li ho battuti tutti”.