La fine dell’amore ai tempi dei social e come sopravvivere
Ogni tanto avrei voglia di essere come quelle icone bizantine con i confini netti: l’oro che incontra il colore e separa i mondi. Ogni tanto, all’epoca dell’amore liquido, servirebbe quella nettezza lì.
Invece la vita è porosa e complicata, le relazioni mischiano affetto e lavoro, progetti e ricordi, ci si impantana, ci si aggancia, non si esce mai, anche se forse non si era mai entrati.
Ci sono cose che capitano a tutti ma quando succedono agli altri ci fanno sorridere, quando accadono a noi ci avvolgono di disperazione. Per fortuna possiamo riderci sopra. Umane fragilità.
Una di queste è la fine di una relazione ai tempi dei social. Ho una certa età: una volta ci si lasciava, si evitavano i posti frequentati insieme, gli amici comuni per un po’ e poi si era pronti a ripartire con le nuove vite. Quando vedevi la sua auto era un colpo al cuore, quando lo incontravi casualmente un sussulto ma si andava avanti e il tempo faceva il resto. Poche telefonate, rare, calibrate. Dignità, distanza, disciplina.
Oggi facciamo tutti cose buffe e goffe perché, fra le onde della mancanza e poi tristezza e poi rabbia, è irresistibile spiare cosa l’altro fa o pensarlo come se fosse ancora qui, prolungando agonia e strilli dell’ego.
Lo stalking
Alzi la mano, o meglio il pollicione chi non ha mai guardato a che ora è l’ultima connessione dell’ex su whatsapp. O magari la prima del mattino. Ma se è online a chi scrive?
E ancora alzi il pollicione blu chi non ha spiato su facebook o instagram l’altro e la sua nuova partner, anche se hanno avuto il tatto e il buon gusto di non postare subito foto insieme, ma sapere che sono nello stesso momento in un’isola greca a guardare lo stesso tramonto non fa benissimo. Anche quando siamo noi a farlo, e siamo noi i carnefici: bene non fa. Ci rende tutti intercambiabili e istantanei, come forse siamo.
E poi succedono cose surreali: ex che spiano nuovi spasimanti, chat comuni usate come detective, controlli incrociati. Tutto solo per non perdere il territorio o la priorità acquisita.
Il flusso di coscienza
Altro rischio è il flusso di coscienza incontrollato. Ogni volta che un pensiero si affaccia alla mente lo mandiamo subito all’ex che si trova così inondato di “mi manchi, ti ho amato tanto, ti odio, quanto era bello guardare il mare insieme, come sto male, scusami, non hai fatto questoquestoquello, è colpa tua, grazie per quella volta là, forse ti amo ancora, etc”. L’altro fa lo stesso e magari contagiamo altri intorno. Lo smartphone come prolungamento del braccio che poi è il prolungamento del cuore, non aiuta.
Come uscirne?
L’unica via è mettere spazio, prima dentro di noi: fra i pensieri, le emozioni e le sensazioni che sono un po’ un frullatore e farci pace. E starci. E non riversarle così come arrivano sull’altro.
Spazio e stop e respiri, lasciare che il cuore e la pancia cambino forma e si adattino al vuoto e poi si modellino su nuove forme. Mentre è più facile sostituire, consumare, divorare.
Poi mettere spazio nella relazione, respirare, lasciare andare. Non usare l’altro come sacco da pugni o dell’immondizia o diario dell’amore perduto e della nostalgia.
Fra il pensiero e l’impulso a prendere il telefono e scrivere fare 3 respiri profondi. E poi posare il telefono. Almeno 2 volte su 3.
Ridere. Perché, con più o meno eleganza, lo facciamo tutti e tutte. Prima o poi. Ma poi ci innamoriamo sempre di nuovo.
E voi cosa fate?