Top

Lasciar andare: suona facile ma è tanto difficile

Foto di Ben White su Unsplash

Lasciar andare: suona facile ma è tanto difficile

“Lasciar andare”. Suona benissimo. Comincia con la L che immette subito il un flusso, incontra la rotondità aperta di 4 A, quasi un piacevole ritornello, accarezza le sponde della R, liquida anche lei, rimbalza sui sassi della N e della D. 5 sillabe: ta tan, ta ta ta.

Invita a lasciar andare, a essere fiume che scorre, accogliere il continuo mutamento, ta tam. ta ta ta.

Eppure è difficilissimo. Ci aggrappiamo a cosa ci piace sperando che ci salvi dai mali del mondo, così come scappiamo da quel che non gradiamo. Attaccamento e avversione sono fonti di sofferenza, lo sappiamo, ma come si fa?

Lasciar andare, ta tan, ta ta ta. Lasciar andare quella punta di ansia di perdere qualcosa o qualcuno, dell’abbandono, di essere lasciati.

Eppure tutto ci lascia: perdiamo chi amiamo prima o poi, perdiamo chi eravamo e i nostri ruoli, ci lascia il colore dei capelli, ci lasciano le diottrie, ci lascia la forza nei muscoli, ci lascia anche la rabbia o la paura, ci arrendiamo. Ce lo insegnano i fiori e le foglie, le nuvole e il vento.

“Devo lasciar andare” non funziona. Non possiamo imporcelo in modo marziale, sforzandoci. Proprio il contrario: lasciar andare è farsi un sorriso che tolga tensione al viso e alle spalle, è prendersi meno sul serio, ammorbidire mani e sguardo, lasciarsi attraversare da quello che succede senza troppe difese.

Ecco perché alla fine dello yoga c’è la posizione del cadavere, Savasana. Lasciamo andare, ci abbandoniamo alla gravità, al richiamo della terra, deponiamo il peso (e le armi), sprofondiamo nell’essere, lasciamo andare con la stessa fiducia con cui cediamo al sonno. Ci alleniamo a lasciare tutto quello che cerchiamo di trattenere con sforzo. E senza sforzo, finalmente, lasciamo andare.

 

Foto di Ben White su Unsplash