Top

Viaggio in Mongolia, giorno 8: fiumi, monasteri e insetti

Ongiin Monastery

Viaggio in Mongolia, giorno 8: fiumi, monasteri e insetti

Una lunga giornata di viaggio nel deserto con temperature alte, sui 38° e un sole che, quando tocca un pezzo di pelle, brucia. Adotto la tecnica del pantalone corto e sella canotta coperta da un foulard di viscosa leggerissimo e che viaggia con me da almeno 20 anni, quindi ben liso e morbido, ma almeno non sta addosso come una manica stretta.

A pranzo ci fermiamo sulla riva di un fiume e mentre l’autista nuota e la guida cucina, passeggio e mi spruzzo e respiro: i piedi a bagno sono sempre una fonte di ristoro, così come bagnare il cappellino e lasciarlo colare nella schiena.

Verso sera arriviamo al monastero buddhista di Ongiin o meglio a quel che resta visto che durante le purghe staliniane 500 monaci e una trentina di templi, luogo di studio e devozione, sono stati eliminati. Un luogo, come spesso quelli dei monasteri di qualsiasi religione, benedetto dagli dei: l’acqua del fiume vicino, la bellezza del paesaggio, la morbidezza delle colline intorno.

La religione buddhista, qui in Mongolia, è stata imposta e ha creato una sorta di sincretismo di necessità con lo sciamanesimo, ci racconta la nostra guida. Poi le purghe di Stalin hanno fatto il resto. L’atmosfera fra le rovine è mistica, nonostante tutto.

La sera arriviamo alla struttura più bella di tutto il viaggio, anche se le parti comuni sono un po’ kitsch, a forma di pagoda. Le gher sono splendide, hanno persino le porte di legno arrotondate, come fossero slitte. In cima la cupola è sollevata, in vetro arrotondato, così come i pali di legno. Una meraviglia. E poi ci sono le docce con acqua calda (solo a certe ore).

Dopo il tramonto passato nel monastero, vediamo tutti i turisti agitarsi e scopare via dalle gher piccoli insetti neri. Con supponenza commentiamo: “certo avranno acceso la luce” e invece no. È in atto una migrazione di piccoli scarafaggi neri: sono tantissimi, irrefrenabili, infermabili. Il personale del resort mette qualcosa sulle gher per impedire loro di camminare e invadere ma loro se ne fregano. E vanno vanno vanno, una colonia, un esercito, un popolo in cammino. Soprattutto cadono dal soffitto, da quelle belle curve di vetro, perché sono piccoli e piatti. Non sono pericolosi ma ci raccomandano di usare tappi per non farli entrare nelle orecchie perché, in quel caso, bisogna andare da un medico.

Che saranno mai? Andiamo a dormire ma nella notte cadono sul letto. Uno, due, cinque, venti. Cominciamo a sentirli sui cuscini, fra i piedi, addosso. Per una notte che siamo in un matrimoniale a centro stanza e non nei lettini ai lati della gher… Sono esaperanti e forse anche un po’ di suggestione e molta stanchezza non aiutano. Andiamo alla reception dove ci sono altri turisti che non riescono a dormire e dove c’è una sonnechiante task force di ragazze/i con scope, palette e un liquido verde. Pulizie perfette ma nulla serve a nulla. Qualcuno tira fuori i materassi, qualcuno dorme sulle sedie improvvisando letti, qualcuno nelle macchine o nei pulmini. Noi tiriamo fuori un materasso e ci mettiamo lì a guardare le stelle. Insetti 1, umani 0.

Un po’ si chiudono gli occhi ma dormire è un’altra cosa. Anche questo piccolo disagio, unito alla scomodità generale di spostamenti e di tutto un mondo più pratico che comodo contribuirà alla mia crisi di metà viaggio. Ma questo lo racconto nella prossima puntata.