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Dance In-It in residenza artistica a Tedacà Bellarte di Torino

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Dance In-It in residenza artistica a Tedacà Bellarte di Torino

Dopo l’India

Quando vado in India a studiare e non per turismo, mi succede così: prima sono felicissima di andarci, quando sono lì sono contenta di tornare a casa e dopo due o tre settimane arriva la “NostalgIndia”: una nostalgia feroce e pacificante allo stesso tempo, come se un pezzetto di pelle, muscoli, cuore fosse rimasto lì e mi chiedesse di tornarci al più presto per sentirmi intera.

Lì vado in confusione per i troppi stimoli: già l’India è piena di suoni, colori, odori, persone, contraddizioni, poi si aggiunge una sorta di desiderio di approfittare al massimo del tempo, la voracità di divorare esperienze che posso fare solo lì: più lezioni di danza possibili, più spettacoli, più festival, negozi, mercati e luce. Sì perché è inverno e voglio accumularne quanta più possibile.

L’ultima esperienza a Bhubaneswar con Dance In-It è stata molto intensa come ho raccontato nel blog: era la mia prima volta con le ragazze che avevo solo conosciuto online, a parte Lucrezia. Era il ritorno all’Odissi dopo una lunga pausa.

 

La residenza a Torino

Prima di partire per l’India mi ero attivata per cercare un teatro che ospitasse una settimana di residenza e non ho avuto dubbi: Tedacà perché è un posto accogliente e sensibile, come le persone che lo animano, il direttore artistico Simone Schinocca, la presidente Claudia Cotza e tutto lo staff: Valeria, Sara, etc.

Ero curiosa di capire come sarebbe stata una residenza a Torino, dormendo a casa e continuando a lavorare per il giornale e con lo yoga la sera.

Sistemate facilmente le ragazze grazie alla disponibilità di Mario, Pietro e Lucrezia, il lavoro è partito, quasi come non si fosse interrotto dall’India, solo con qualche maglione in più. Il tempo vola fra riscaldamenti (compaiono anche le diagonali con ruote e giri!!!) il ripasso della coreografia di Ileana Citaristi studiata in India; riunioni sul futuro di Dance In-It in cui si cerca di capire come costituirsi, sostenersi, proporsi, partecipare a eventi e con quali economie; l’esplorazione di un lavoro iniziato in residenza a Faenza, quando io non c’ero ancora, che mescola kalari (uno stile diverso da quello che ho praticato io, giusto per non annoiarsi mai), Odissi, danza contemporanea. Questo è il momento in cui mi sento più a mio agio: mi sembra di tornare alle giornate di ricerca di Alle Dinghe, gruppo di danza contemporanea diretto da Maria Balbo di cui facevo parte 30 anni fa o ai laboratori intensi con Anna Sagna o Michele Di Mauro: tempo di non sapere, apertura, ricerca. Cristiana esce dal gruppo per diventare sguardo esterno, prezioso e necessario: abbiamo una coreografa. In altre scene uscirà un’altra. Il lavoro scorre, l’orologio pressa, servirebbero più ore, tante sono le cose da pensare per “Shedding Womanhood”.

I pranzi sono occasione di riunione e discussione. Cinque teste, cinque idee, la democrazia non è una cosa scontata, è difficile ascoltarci tutte, cogliere sfumature, stare nel concreto, decidere. Non è facile quando le cose non vanno come vorremmo e la frustrazione morde lo stomaco e le emozioni si amplificano e tutto stride. Si pensa e parla e viene mal di testa e i muscoli si irrigidiscono. Poi si va in sala, nel nero delle tende e delle pareti e tutto si scioglie, i corpi entrano in una risonanza di intenti e tutto scorre: la fatica diventa euforia, sento di nuotare nella mia acqua. La sorellanza è una danza.

 

Il tempo della gratitudine

Un momento molto nutriente è stato il workshop Dee e Donne che per due ore ha coinvolto danzatrici e curiose nell’esplorazione delle arti indiane che pratichiamo. Grazie Stella e Cristiana di averci accompagnate. Grazie Antonietta per le buonissime lenticchie e la cura delle cose. Grazie mamma di Pietro per i fiori. Grazie Lucrezia per vedere spesso cose che io non vedo ancora.