E se il tango fosse un fiume?
Ogni volta che vado a ballare faccio qualche scoperta. Per questo mi piace tanto. Per questo forse comincio a capire perché il tango è così simile alla vita. Anche se tutto è simile alla vita per me. Tutto è vita.
Fino a poco tempo fa mi sentivo inadeguata in pista. Mi invitavano e mi irrigidivo come a scusarmi di ballare da poco, conoscere pochi passi, preoccupata di non fare le cose giuste. Poi il fiume mi ha insegnato che i remi bisogna lasciarli andare e non trattenerli e che se lasci il corpo morbido e libero di sbagliare (evviva gli errori!) e imparare, sentire la barca e l’acqua, te la godi e diventa tutto più bello.
Così ora mi godo ogni passo: unire le caviglie, cercare il petto del leader, concedermi il tempo di un adorno. Ho capito che più mi abbandono al flusso più sento, più apro i pori meno sono rigida e più mi diverto, più sono fluida meno mi racconto la mia storia, meno so più vivo.
Mi abbandono. Non a una passività ma a un ascolto attivo e a un flusso misterioso in cui gioco e mi prendo meno sul serio. Cerco il mio asse, mi diverto, anche se non faccio chissache. Immagino che il vorticare delle coppie nel senso di ronda sia un fiume. Io sono acqua, mi apro all’esperienza, faccio quello che sento ma ogni cosa la vivo con gioia e muscoli e ossa e cuore aperti. Sorrido. La felicità rimbalza nel cuore e scorre nella schiena, nelle gambe e arriva ai piedi. Ruoto il bacino e lo faccio come fosse la cosa più importante al mondo. Unisco le caviglie come solo io so fare. Sollevo la punta del piede. Faccio un piccolo cerchietto con la caviglia, un boleo, un pivot, tre passetti sulla musica piccoli piccoli, un pique. Tutto con la felicità di farlo e l’eleganza di stirarmi verso l’alto, piedi nella terra e fontanella fra le stelle. Non devo dimostrare niente a nessuno, non devo fare. Solo essere, presente, percettiva, viva. Essere qui, in questo istante con quel che mi propone la musica e chi mi guida, con tutte le altre coppie intorno in un unico respiro, un unico fiume.


