Dance In-It a Bhubaneswar, giorno 8: statue, musica e danza
Il tempo e il tempio
Quando un viaggio supera la metà, non si capisce bene perché, tutto accelera in modo vorticoso. Oggi è una di quelle giornate: 85 ore in 24.
Al mattino andiamo a visitare il tempio Vaital Dell, dell’VIII secolo. Un po’ infossato, su una curva, incastrato fra case e traffico, è un gioiello di pietra rossa con splendide sculture. Mi colpisce sempre quando per incontrare il divino bisogna inchinarsi e andare verso il basso, invece di elevarsi verso il cielo come in una cattedrale gotica. Il divino è qualcosa che sta dentro, sotto, nel cuore. Richiede umiltà, abbassare la testa, sentire la terra. In India è molto facile da percepire.
Il pandit, in cambio di qualche rupia ma ne vorrebbe di più, ci mostra anche la stanza chiusa con la dea senza corpo e gli occhi d’oro. Intorno statue tantriche che ti accolgono in cerchio: entriamo una per volta, veloci, in questo abbraccio uterino. Una sensazione molto potente.
Uscendo cerchiamo di infilarci in un tempio segreto con le posizioni acrobatiche ed erotiche ma ci cacciano via.
Le lezioni
Pratichiamo con Ileana la nostra sabari che piano piano prende forma e poi con Lingaraj a Palaspalli: Lucrezia, Anne ed io ripassiamo esercizi, chouka, studiamo tutti gli usa di pataka che io ho ancora sul quaderno arancio: ripetiamo gesti e nomi in una cantilena ipnotica, natyarambhe, baribahe, bane… inizia la danza, nuvole, foresta. Oggi ci sono anche Carlo e Petra a fare le riprese. Alla fine della lezione Lingaraj propone che vengano sempre perché siamo state più performanti.
Namrata Dave
Dopo la lezione ascoltiamo e intervistiamo Namrata Dave che vive in casa con noi e suona il mardala, una specie di tamburo sdraiato che si poggia a terra e si suona con le due mani una per lato, fondamentale nella danza. Ci racconta che non ci sono donne perché “vengono le spalle grosse e non trovi marito” le hanno detto. Di Mumbai, vive a Delhi. Viene qui un paio di mesi all’anno a studiare, ha un altro lavoro perché “la musica non paga le bollette” dice. Ci racconta della musica odissi che si differenzia da quella hindustana e da quella karnatica. Una musica che nasce durante l’impero kalinga.
“La musica – racconta – è la mia vita. Non posso immaginare una vita senza musica. Insegna molte cose: pazienza, dedizione, si può continuare a imparare tutta la vita”.
Le chiedo cosa fa con la frustrazione e quando qualcosa non viene: “Devi ascoltare il corpo, se qualcosa non viene, verrà. Bisogna provare il giorno dopo senza incaponirsi come volevano i vecchi maestri. Vai avanti, non mollare ma ascolta il corpo, alla fine è lui il maestro. Ho scelto questo strumento per la vita, non posso mettermi troppa pressione, ho i miei tempi”. Applaudiamo: dice proprio quello che risuona nelle mie cellule di danzatrice tardiva.
Poi ci fa ascoltare un po’ di musica: è bravissima. I suoni avvolgono il silenzio della stanza e tutto scompare nell’arte, nel condividere, nell’essere.




