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Senza Odissi non si può stare: il racconto di un ritorno

Senza Odissi non si può stare: il racconto di un ritorno

Tante cose nella mia vita di persona irrequieta e curiosa sono entrate, mi hanno tenuto compagnia per un po’ e poi sono uscite. Spesso sono state grandi passioni, fuochi che divampano, divorano tempo e dedizione e poi si consumano. C’è però qualcosa che non mi ha mai abbandonata: la danza classica Odissi. Lo racconto qui, a un TEDx.

Da quando è entrata nella mia vita ha cambiato la mia percezione del corpo, della musica, dell’estetica. La musica in India, ad esempio, è complicata perché ci sono suddivisioni diverse fra le 7 note e tempi che si raddoppiano e moltiplicano creando scale non familiari all’orecchio occidentale.

Ci sono tanti limiti: ho iniziato tardi, due ginocchia molto malconce, difficoltà di apprendimento delle sequenze, ma c’è qualcosa che accade quando danzo che mi trasforma in profondità. Sarà l’aspetto devozionale. Sarà la costruzione dei movimenti a spirale partendo dalla terra per arrivare fino al collo e agli occhi. Sarà che si genera una sorta di stato ipnotico che protegge da ogni pensiero intrusivo. Sento una connessione corpo-mente-spirito molto forte: quando danzo sto bene.

Sei anni fa, dopo il TEDx, avevo mollato perché era comparsa una cisti articolare su un piede, grossa come una nocciola con la buccia. All’ecografia mi avevano chiesto se avevo fatto sforzi con piedi, preso dei colpi, usato troppo le articolazioni. Come una bambina avevo negato, mentre nella mia testa vedevo tutti i Chouka e i Tribhanga in fila.

Mollato per modo di dire. Ogni tanto, nei momenti di attesa, mi capitava di accennare dei movimenti, anche solo per non perderli o di ripassarli nella mente.

Poi è successo. Lucrezia, l’amica di sempre nelle avventure dell’Odissi e non solo, mi ha parlato di Dance IN-IT e di questo collettivo di artiste con un bellissimo progetto di traduzione della danza indiana in Italia. “Devi venire con noi” ha detto.

“Ormai ho chiuso” Mi dicevo. Ma nella notte è arrivata prepotente una risposta diversa. Non posso lasciare. Ho ricominciato ad allenarmi. Piano piano il corpo ricorda e i passi e le sequenze tornano. Ci vuole pazienza. La cosa più bella e che mi fa capire di essere sulla strada giusta è come sto. Sono felice e grata e sento un calore che sa di pieno dove spesso sentivo il vuoto del non-senso.

Le persone intorno a me si sono accorte del cambiamento, senza che dicessi nulla: il dentista dice che ho modificato l’appoggio dei denti; l’allenatrice di canottaggio dice che sono più morbida e simmetrica; amiche mi hanno chiesto cosa ho di diverso.

E così parto per l’India, di nuovo, con il mio bagaglio di limiti: 54 anni nelle articolazioni, 2 menischi rotti, qualche accenno di artrosi, difficoltà a ricordare sequenze ma soprattutto con l’umiltà di chi si rimette in gioco con quello che ha.

Tanto studio di danze e altre discipline mi ha allenata alla frustrazione. Mi metterò nel flusso, incontrerò quello che arriva e se non sarò performante, se non sarò all’altezza, se non sarò brava come le altre, starò con quello che ancora non so, felice e grata di poterlo vivere.