Viaggio in Mongolia, giorno 3: nuvole, rocce e lo “stupa bianco”
La fida UAZ ci porta oggi verso Tsagaan Suvarga, detto anche “stupa bianco”nella provincia del Dundgovi sempre nel Gobi: formazioni rocciose modellate dal vento nel corso dei millenni nell’altopiano che sfiora i 1900 metri. Qui il vento fa la voce grossa, spazza via le nuvole e le raduna presto a sé in una danza continua che stai a guardare per ore. In Mongolia non ci sono montagne alte a fare da barriera protettiva (come per noi le Alpi): dalla Siberia soffia un vento freddo, potente, maestoso. Le rocce, inondate di luce bianca al pomeriggio, hanno guglie che ricordano architetture: campanili, cattedrali, minareti immaginari. Io mi sento un po’ nei parchi dell’Ovest degli USA e un po’ in Cappadocia fra i camini delle fate. Camminare è piacevole e affascinante, l’aria è calda ma pungente, nitida, schiarisce anche le idee. L’unica struttura turistica è una panchina. E due negozietti-tenda che vendono bibite e gelati. Di più non troveremo.
La luce della Mongolia è magica: tramonti e albe, nuvole bianche e cieli azzurri, spazi, silenzi. Ti mette a contatto in modo anche ruvido con le sensazioni che sono amplificate, così come le emozioni: arrivano onde di felicità ed euforia ma anche di tristezza e malinconia. Mi sento piccola, senza confini, un po’ persa. I pensieri acquisiscono nitidezza, si presentano e poi cambiano forma, veloci come nuvole.
Anche oggi dormiamo in ger ma di una guesthouse, si può fare una breve doccia. Il bagno è sempre un buco puzzone ma con tazza, preferisco camminare nella natura ma non ci sono arbusti e dune e quindi per sparire alla vista dei pochi altri ospiti cammino per chilometri. La luce elettrica arriva la sera dopo il buio, alimentata da una batteria di auto a cui si attacca una pinza. Va bene così: non serve altro. Le stelle ci aspettano di nuovo per abbracciarci di infinito.




