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Viaggio in Mongolia, giorno 9: il suono dell’erba brucata

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Viaggio in Mongolia, giorno 9: il suono dell’erba brucata

Una lunga giornata in auto su strade sterrate, le vertebre che si rimescolano sulla UAZ, una sensazione di stanchezza diffusa e smarrimento. Dopo 9 giorni di piccoli disagi, il corpo mi presenta il conto. Di notte dormo male, letti duri, tanta luce e freddo. In auto sobbalzo in continuo e devo arpionarmi con braccia e gambe al sedile per non volare o sbattere. Quando ci fermiamo non c’è una panchina comoda ma sgabellini di legno o assi su cui i miei ischi non trovano pace. Mi fa male il mondo. Agio nel disagio. Già, lo dico sempre ma qui è difficile. Per me che ho un’alimentazione quasi del tutto vegetale trovarsi a mangiare carne 3 volte al giorno è pesante. E che carne: capra, cammello, pecora, carne grassissima, dal gusto selvatico e difficilissima da masticare e spesso cucinata con uova. Dopo le proteste-suppliche, sono riuscita a ottenere di mangiare carne una sola volta al giorno ma a colazione ci sono sempre 2 uova (fritte, sode, omelette) insieme a cetriolo, pomodoro, a volte funghi, cipolle, ma 2 uova ogni giorno sono tante, troppe. Patisco un po’ anche il silenzio. Patisco il dipendere, il non poter decidere “oggi vado lì” o “oggi mangio solo frutta” perché dipendo da strade, guida che cucina e autista, presenza o meno di cibo e posti dove acquistarlo. La stanchezza si fa sentire. In viaggio succede. E il deserto che è così estremo mi mette molto a contatto con le sensazioni, le emozioni e i pensieri. Tutto è forte, duro, estremo appunto. Avrei bisogno di un’ondata di dolcezza.

Non riesco a fare pranzo perché, io che ho sempre fame quando sono in crisi, invece, non mangio. Ho lo stomaco sottosopra, forse voglio anche manifestare un disagio, comunicarlo a chi è con me. Lasciamo il Gobi per la Mongolia centrale. Il paesaggio cambia, arrivano le colline, il verde e le montagne. Gli animali sono ancora di più. Arriviamo nella famiglia che ci ospita: stanno facendo l’airag, la bevanda fermentata di cavalla, non la posso assaggiare ma profuma di kefir. C’è una pecora appena scuoiata a pezzi in una scatola di cartone. Odore di selvatico, ferroso e nauseante.

Le capre che tornano dal pascolo si infilano nella gher a cercare un po’ di caldo e amano le carezze. Sono piccole, vogliono giocare. C’è così tanto silenzio che si sente quando gli animali brucano e strappano l’erba. La musica dell’erba brucata. Una passeggiata lungo il fiume mi ristora, ci sono yak e cavalli e al ritorno, la guida mi ha preparato una zuppa di pollo, patate e riso, dal sapore molto familiare.

La notte sperimento la stufa nella gher. Se metti troppa legna percepisci 85° sulla parte anteriore del corpo e 0° dietro, se lasci spegnere il fuoco si gela. Anche qui tutto estremo.

Nella notte arriva la crisi che ho covato tutto il giorno: piango come una bambina, ho freddo, sono scomoda nel sacco a pelo, lotto con le cerniere, non sopporto l’antizanzara sulla pelle, la carne, l’auto, la scomodità di tutto, la mancanza di un bagno e una doccia, dover camminare chilometri per fare pipì allontanandomi dalla fossa puzzolente, il letto duro, il cuscino di semi, le salviette igienizzanti con quell’odore di farmacia, la porta della gher bassa che prima o poi una craniata la prendi.

Lo so, tutto passa, questa crisi passerà presto e domani tutto sarà diverso e la Mongolia mi entrerà nel cuore per la sua bellezza ma stanotte mi manca un abbraccio morbido, comodo, caldo, la dolcezza di un mare o la forza di un oceano (ogni tanto penso che qui non c’è nessun mare), dei sapori noti da comfort food, delle verdure diverse da patate, carote e cipolle, un frutto maturo, un sole che non ustioni, stare a piedi nudi.

Sto con quello che c’è, abbraccio il disagio, lo coccolo, mi faccio coccolare dal mio compagno che trova la via giusta per starmi accanto (grazie!), stringo in mano la pila da fronte con cui convivo la sera, la custodia del sacco a pelo, un fazzoletto di carta, come se mi aggrappassi a loro per stare meglio, mi appallottolo e piango.

Quando si piange in realtà il malessere sta passando, si sta sciogliendo, e così mi addormento.