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Kalari: mi sono innamorata di un’antica arte marziale indiana

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Kalari: mi sono innamorata di un’antica arte marziale indiana

Amore a prima vista

Mi sono innamorata del kalari, antica arte marziale indiana, nome intero: kalarippayattu. Ero andata a fare uno stage intensivo in Polonia da Shankar e Justyna che gestiscono Studio Kalari. Non ho più praticato perché a Torino non ci sono gruppi.

A marzo, con il lockdown, Justyna ha iniziato a fare lezione su facebook adattando la dimensione spaziale e relazionale a pochi metri quadri. E i traning con lei sono diventati compagni quotidiani di inizio giornata. Pratico 3 volte a settimana, se riesco 4.

Come mi fa sentire

Cosa mi piace del kalari è la capacità di fondere forza, eleganza, equilibrio e una cosa difficile da definire che chiamerei “flow”. Un’alternarsi naturale di figure e forme, allungamenti e contrazioni di muscoli impegnati a prendere posizioni animali e la magia delle sequenze che impegnano corpo e mente in ripetizioni che cambiano direzione e richiedono la massima attenzione.

Faticoso e impegnativo, mi fa sentire piena di energia, ma anche calma e concentrata. In piena connessione con tutti i pezzi di me e con chi pratica al di là dello schermo. I movimenti stimolano i canali energetici e i punti marma dell’ayurveda, antica scienza della vita indiana, e alla fine della lezione mi sento bene: forte e rilassata.

Cosa ha in comune con altre pratiche

In comune con lo yoga ha alcune posizioni e l’attenzione costante al respiro. Ma mentre lo yoga insegna a sentire cosa avviene dentro, il kalari insegna ad avere occhi, orecchie e antenne in tutto il corpo per difendersi e colpire possibili nemici. Praticando da sola, il nemico sono io, il mio ego, il mio attaccamento.

In comune con la danza ha l’eleganza, la forza, la coordinazione e la grazia ma in più ha concretezza e potenza che radicano nella terra e nell’esserci del tutto, vigili a ogni istante, senza possibilità di astrarsi.

In comune con la meditazione ha che corpo-mente-spirito sono unificati in quello che si sperimenta, passo dopo passo, respiro dopo respiro, istante dopo istante. Una meditazione attiva, perché se la mente scappa altrove, il corpo si inceppa e, per tornare qui, attiviamo presenza e consapevolezza.

In comune con tutte e tre ha il fatto di essere una pratica, qualcosa da coltivare, un’attività che si trasforma in noi e agisce nonostante noi. Ed essendo una pratica non si può raccontare, si può solo sperimentare.