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Il dilemma del porcospino di Schopenauer: la giusta distanza

riccio

Il dilemma del porcospino di Schopenauer: la giusta distanza

Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.” (Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, capitolo XXI).

Caro Arthur, grazie per questa immagine bellissima. Hai ragione: se si sta troppo lontani fa freddo al cuore, si sente un vuoto nella pancia che ha il sapore della mancata complicità, degli abbracci non dati e delle parole non dette.

Se si sta troppo a contatto ci si punge con gli aculei altrui ma anche con i propri, manca ossigeno, aria, libertà. Come ti muovi peggiori le cose, fai male e ti fai male. Ferisci e ti tagli in un’altalena di rabbia, dolore, fatica, fuga, ritorno, rabbia, dolore, fatica, fuga.

La giusta distanza

Perché è difficile trovare la giusta via? Essere insieme senza soffocarci?  Incontrarsi senza fondersi?

Tento un’interpretazione, caro Athur, correggimi se sbaglio o sono troppo ottimista. Da quando nasciamo abbiamo nostalgia dell’unità. Ci sentiamo scissi, soli, diventiamo un “io” separato dal “tutto”. E cerchiamo di ritornare a quel non tempo in cui eravamo uno, forse.

Alcune esperienze ci riunificano al mondo dei non opposti: tutte le volte che siamo di fronte alla meraviglia dell’arte che ci emoziona e nutre o siamo immersi in uno spettacolo naturale che non ci fa bastare i sensi per coglierlo o siamo nel contatto più nudo e vero con un altro essere umano, quello fatto di respiri e sguardi e pelle o quando meditiamo e ci percepiamo non più come io-mio-me separato e sperimentiamo la defusione dal nostro piccolo capriccioso ego. Ecco lì siamo tutt’uno col cosmo: c’è un senso di pieno nel cuore. Heartfulness.

Poi ecco che arriva la variabile sentimento e scardina tutto: ci sentiamo pieni di un nuovo superpotere, ma anche fragili; vorremmo fonderci nell’altro che, incredibile, ha scelto proprio noi; facciamo fatica a separarci anche per poche ore, abbiamo un pensiero fisso che arriva al mattino presto e se ne va per ultimo e a volte tiene compagnia anche di notte. Orrore: deleghiamo all’altro la nostra felicità: è la fine. Povero o povera. Diventa insopportabile. E così riprendiamo i nostri spazi con violenza, buttando via, boicottando. Fine delle spine. Fine della possibilità. Freddo.

La terza via

Non so se c’è una soluzione, caro Arthur. Ma forse è possibile percorrere una terza più consapevole, fatta di esplorazione dei propri aculei,  rispetto e spazi di coltivazione. Tento una lista, balbettante, vista la mia totale mente da principiante:

Per non pungersi:

  1. occuparsi di corpo e anima nel modo preferito (correre, nuotare, yoga, tai chi, canottaggio, ikebana, cantare, meditare, camminare)
  2. curare la casa e l’ambiente (ognuno i suoi)
  3. coltivare le relazioni (ognuno le sue)
  4. alimentare le passioni nutrienti (lettura, musica, arte)
  5. prendere spazio e tempo per frequentare la solitudine
  6. esplorare il silenzio
  7. coltivare la spaziosità

Per non avere freddo:

  1. nutrire la relazione con belle esperienze insieme
  2. comunicare i propri bisogni, accogliere quelli altrui, ascoltarsi, ascoltare
  3. allenare la pazienza
  4. non incaponirsi sull’aver ragione a tutti i costi, giudicare, rivendicare
  5. non portare dentro tutto il passato (stanze piene di ex)
  6. lasciar andare, fluire, scorrere
  7. mettere stop (spazi di 3-4 respiri) prima di reagire, esprimere, reprimere
  8. osare la pura presenza lontana dal conosciuto
  9. riconoscere gli automatismi e cercare di scardinarli
  10. aprirsi all’esperienza. Siamo vivi, senza paura e senza intenzione

Caro Arthur, non è facile, ma vale sempre la pena provarci. Che ne dici?