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Sprechi in mensa: l’educazione alimentare parte dal piatto

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Sprechi in mensa: l’educazione alimentare parte dal piatto

Mi è capitato spesso di mangiare in mense: scuole, università, giornali, uffici. C’è qualcosa che mi piace pur nella serialità e di solito nella rumorosità: poter mangiare senza cucinare, faticare, pensare, fare la spesa, riempire il frigo, pulire le verdure, trovare il frigo vuoto e inventare giochi di prestigio o consumare le cose in scadenza. Basta scegliere e sedersi. Comodo. E ho anche spesso trovato mense di buona qualità: quella di Essen aveva vinto un premio (d’altra parte Essen in tedesco vuol dire mangiare), quella di Urbino era ottima, a Milano c’era una scelta eccezionale.
Molto meno triste del panino incellophanato al bar o dell’insalata in vetrina che prende il sole.
Tutto questo avveniva prima della mia allergia alle proteine del latte che fa sì che evitando farine e surgelati oltre ai latticini, nella mensa dell’Università Pontificia Salesiana, dive sono gentilissimi, io mangi solo riso, frutta e insalata.
Ma c’è una cosa che mi fa stare male in mensa da sempre: gli sprechi. A parte la scarsa ecologia di stoviglie in plastica e rare attenzioni a materiali riciclabili (lì la Germania era imbattibile), ho sempre notato una tendenza: quella a prendere troppa roba e poi avanzarla.
Sarà che la convenzione prevede così, sarà che uno non sa capire quanta fame ha, sarà l’entusiasmo della scelta.
Vedo riempire piattoni che spesso rimangono a metà, quando non è peggio, sui tavoli.
Mi fa stare male da sempre vedere buttare via cibo che non ha neanche il diritto di trasformarsi in polpettone. Sarà che a casa mia ci hanno insegnato (da bravi figli della guerra) a mangiare tutto, non avanzare e mai e poi mai buttare via niente. Sarà che mi dicevano che mentre io non mangiavo c’erano i bambini che morivano di fame in Africa e anche se non capivo come la fettina d carne che nascondevo nei termosifoni dalle suore potesse arrivare in Biafra, sentivo che le due cose erano collegate: qualcuno ha troppo perché qualcuno ha troppo poco. O qualcuno ha poco perché qualcuno ha troppo.
Saranno i viaggi in posti dove ogni grano di riso è un dono del cielo e l’idea di buttarlo è un delitto. Sarà che dietro il cibo c’è lavoro, fatica, pazienza, mani che hanno raccolto, piedi che hanno camminato per seminare, occhi che hanno scelto il momento giusto, nasi che hanno sentito profumi, braccia che hanno trasportato casse.
In ogni mensa vedo sprechi. E non importa la provenienza geografica, il colore della pelle o il grado di cultura. C’è una sorta di bulimia: voglio tutto e tanto poi magari lascio lì. Anche se lo pago.
Ma perché? Avete soluzioni per ridurre gli sprechi se non proprio evitarli del tutto?
Io comincerei dalle scuole: raccontando ai bambini come arriva il cibo in tavola e magari facendo loro sperimentare la fatica di coltivare un orto. E per i grandi lo stesso.