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La vita che scorre

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La vita che scorre

Da qualche giorno si svegliava con una strana sensazione: un peso sullo sterno, anzi dietro le ossa, dentro, come un ferro da stiro di quelli di una volta. Greve, pieno, arrugginito. Si svegliava subito dopo di lei e poi rimaneva lì a pesarle fra il cuore e lo sterno. A volte le toglieva la fame. Insopportabile come un senso di colpa, come uno zaino allacciato male, come una mano ossuta che ti spinge via. A volte le impediva di respirare.

Da quando Aldo se ne era andato via di casa, il ferro non mollava mai la presa, se non quando danzava o quando si concentrava sul lavoro, quando vedeva le donne che truccava sorridere, oppure quando piangeva. Le lacrime toglievano forza al ferro e, dopo il pianto, tutto era più leggero. Lasciava solo un’ombra, pallida, lieve. Ed era lì che Nina pensava che tutto si sarebbe rimesso a posto. Con o senza Aldo.

Oggi il ferro aveva il peso del maestrale, il respiro era più corto del solito. Da domenica d’agosto. Le sembrava di non riuscire a mandare aria nella pancia, come se il diaframma fosse rigido e le impedisse di digerire il respiro, di mandarlo giù, verso l’ombelico. Dopo tanti anni di yoga, sapeva come fare: sdraiata supina, una mano sulla pancia e una sul petto. Inspiro lento, contando fino a 4, apnea piena, fino a 4 conti, espiro lento, altri 4, apnea vuota, altri 4. Cambiava i conti delle respirazioni, le allungava e le accorciava e stava bene, per un po’. Ma poi quando si rialzava, il fiato tornava a circolare solo in alto. Anche le clavicole non si rilassavano più.

Con Aldo le cose non andavano bene da più di un anno, dopo tre anni di matrimonio. Non andavano neanche male. Semplicemente non andavano. Lui non c’era mai, era sempre via. Era uno dei pochi inviati speciali di un grande quotidiano, amava il suo lavoro più di se stesso e più di Nina.

Si erano conosciuti da adulti, a 40 anni, quando entrambi pensavano che sarebbero rimasti da soli per sempre. Per caso si erano trovati vicini in un viaggio in treno, alta velocità Roma-Torino. Lui le aveva rovesciato il caffè sui pantaloni arancio, il suo colore preferito. Lei aveva detto “non importa” ma aveva pensato “che idiota”. Lui l’aveva capito e l’aveva amata subito. Vedeva quanta rabbia e quanta vita ci fosse in lei. Quella che lui non aveva più. Negli anni aveva sviluppato una corazza di cinismo per difendersi da quel lavoro che tanto amava, per non permettere alle vita degli altri di diventare la sua, per galleggiare sulle sofferenze del mondo senza farsene inghiottire. Lei no, Nina viveva ogni istante con infinita passione.

Lui le aveva chiesto “come ti chiami?” mentre cercava di aiutarla a smacchiare il caffè con gesti goffi e maldestri. Lei aveva risposto: “Nina”. Lui non aveva chiesto da dove venisse quel diminutivo. Lei era stata felice di non dover spiegare che il suo nome anagrafico era “Lontana” perché i suoi genitori l’avevano concepita in viaggio di nozze. Quando l’idea di avere un bambino era molto lontana.

Si erano scambiati i numeri di telefono e dopo un mese, per il suo compleanno, Nina aveva ricevuto il regalo più bello di sempre: un biglietto aereo per New York e una settimana con Aldo alla scoperta della Grande Mela, che lui conosceva molto bene. Il tempo era volato fra mostre, musei, cose da vedere e fare, ma soprattutto per quella passione comune che avevano scoperto per lasciarsi scorrere insieme alla vita: passeggiare senza sapere dove andare, prendere una metro a caso e sbucare a caso, bere un caffè osservando le persone, assaggiare piatti strani, perdersi. Lui le aveva detto un milione di volte che era bella, cosa alla quale lei credeva poco, ma il gioco le piaceva. Erano stati benissimo e avevano deciso di sposarsi subito dopo.

Le cose andavano bene anche se lui viaggiava molto. All’inizio c’erano passione, curiosità, felicità. Poi è arrivata la stanchezza. Anche lei viaggia. Nina è una truccatrice di una maison di lusso. Passa le sue giornate a confortare donne belle che non si sentono tali. Le ascolta: “Ho le occhiaie, gli zigomi poco pronunciati, gli occhi infossati, il naso grosso, le labbra sottili” e la maggior parte delle cose che dicono non sono vere. Lei tocca il punto che la donna non ama di sé con il correttore, lo accarezza con il fondotinta, la cipria e l’ombretto e quel suo tocco leggero diventa un massaggio per l’anima, un incoraggiamento, e alla fine le donne si guardano allo specchio e si sentono più belle e non finiscono più di ringraziare. Il suo è un lavoro terapeutico. Con i polpastrelli, le spugnette e i pennelli regala pennellate di autostima. Fa sentire le donne belle e respira la loro gratitudine. Fa quello che non riesce a fare con se stessa, anche se da qualche tempo la danza sensibile le sta insegnando ad avere più fiducia nelle sue radici, nei suoi appoggi, nella sua memoria acquatica e terrestre.

Con Aldo le tensioni sono cominciate perché lui era assente anche quando era in casa, non la toccava e non la desiderava più. E quando lei si avvicinava, lui evitava il contatto. Lei pensava che fare l’amore li avrebbe aiutati a comunicare le cose che non riuscivano più a dirsi con le parole. Lui sentiva troppa tensione e troppo giudizio. Non è tipo da risolvere i problemi con gli abbracci. Così lei si è sentita sempre meno desiderata e ha cominciato a protestare. Lui si è sentito sempre più inadeguato.

Nina dimostra meno della sua età, assomiglia alle sue compagne di danza che sono più giovani di 15-20 anni. Non ha figli e un bel corpo, sodo, tonico e pieno di desideri. Lui invece si trascura molto, con la scusa del lavoro e dei viaggi mangia quando capita, ultimamente un po’ troppo spesso, dorme quando capita e si lascia andare in una trascuratezza che a Nina fa male, rinforza il ferro da stiro sul petto. Lei ha pensato che lui avesse un’altra. Lui non ha nessuno, ha solo perso l’entusiasmo per la vita e per le cose belle. Ma non lo sa.

Sdraiata sul letto, incapace di decidere se alzarsi per fare colazione o poltrire ancora un po’, Nina pensa a come vorrebbe essere accarezzata in quella mattina d’agosto, pensa agli ex-fidanzati, agli incontri fuggitivi. Non le viene in mente nessuno e il ferro da stiro sul cuore pesa ancora di più. I vecchi amanti si sono sistemati e ormai da qualche anno, lei, da sposata, è fuori dai giochi. Prende il suo ipad, regalo di Aldo, e si ricorda del vecchio account su un sito di incontri per cuori solitari. Lì aveva conosciuto Guido, tanti anni fa, il ragazzo con sui stava prima di incontrare Aldo e che aveva mollato perché lui non si sentiva pronto alla convivenza. Aveva 10 anni in meno di lei. La tentazione di cercare qualcuno sul sito le da un piacere morboso, proibito, eccitante. Da quando è arrivato Aldo non ha cercato nessun altro. Non ricorda la password o forse sì, ecco balenare nella sua casella di posta un contatto nuovo: Dario. “Ti va di fare due chiacchiere?”

“Sì” risponde Nina.

“Sono Dario. La mia fidanzata mi ha appena lasciato e vivo con un cucciolo di pit-bull, vuoi vederlo?”
“Ciao sono Nina. Non so più se ho un marito”. Poi pensa che in rete può inventarsi una vita diversa, ma sceglie la verità: “Non ci siamo lasciati per sempre, forse stiamo solo prendendo la rincorsa per tornare insieme ma se ci vediamo litighiamo, quindi vive fuori, ogni tanto passa a prendere calzini o camicie, e sono confusa”.

“Ops mi spiace. E come ti senti?”

“Con un ferro da stiro sul cuore, un peso enorme”.

“Sai che ho dei poteri magici? Sono una gigante calamita che stacca dai cuori i ferri più resistenti”. E intanto arriva una foto del cane, Pablito, marrone scurissimo.

Nina scoppia a ridere. “Raccontami di te. Vorrei conoscerti meglio.
“Che dire? Sono una persona normale, danzo, lavoro, trucco le donne e viaggio. E tu?”
“Sono un musicista. Suono il violoncello e aiuto le persone a sentire e respirare bellezza”.

“E funziona?”

“L’arte, la bellezza, la meraviglia sono il nutrimento dell’anima. Senza di loro siamo persi”.
“Cosa stai cercando qui?”

“Nulla, sono qui per caso. O forse per incontrarti. Vorrei prendermi cura di te, oggi, sento che ne hai bisogno”.
Nina non sa perché ma quelle parole suonano vere e comincia a sciogliersi in lente lacrime viscose che rimangono attaccate alle guance, portandosi via un il peso del ferro da stiro sullo sterno. Si sente leggera, serena, complice mentre digita con uno sconosciuto su una tastiera scomoda. Aspetta il messaggio successivo con ansia. E ogni volta riceve una carezza. Pensa ad Aldo e alle sue mani grandi, pensa a Dario che non conosce, sente la vita pulsare. È ora di fare colazione. Il ferro da stiro ha lasciato spazio alla fame. La giornata può cominciare.