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Ho scritto un romanzo 10 “Non più, non ancora”: le presentazioni, buffe esperienze

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Ho scritto un romanzo 10 “Non più, non ancora”: le presentazioni, buffe esperienze

Sono passati 3 mesi da quando è uscito “Non più, non ancora” e ho fatto un po’ di presentazioni in giro per l’Italia. Ogni tanto qualcuno legge i post sui social e mi dice “il libro sta andando bene, sei sempre in giro”.

Io sorrido, perché rivivo gli alti e bassi degli incontri in libreria o biblioteca o altrove. Ecco, qui vorrei raccontare le cose che non si vedono, il lato osceno, nel senso che sta fuori dalla scena, quello comico e quello deprimente ma anche quello che sorprende, diverte e mi fa essere grata, gratissima qualsiasi cosa succeda. Ogni volta imparo qualcosa. “Non più, non ancora” è un ponte che mi collega a chi risuona con questa storia, un incontro a distanza che diventa intimo, un fluido, una presenza, qualcosa che non c’era ed ora danza fra le nostre anime.

 

 

Ecco le cose che ho scoperto:

1 Gli amici vengono alla prima presentazione o alla seconda se la prima erano impegnati, più raramente alla terza. Quelli che compaiono più volte, accompagnano con vari mezzi di trasporto, supportano, seguono e fanno domande sono i veri amici. Quelli che non se ne sono persa una sono degli eroi o degli spasimanti segreti o non hanno proprio nulla da fare o stanno per chiederci un grosso favore.

2 Le libraie e i librai, ma soprattutto le prime, fanno un lavoro eccezionale: consigliano il libro alle clienti prima della presentazione, lo raccontano, realizzano locandine fantasiose con cui tappezzare le vetrine, eventi colorati facebook, aperitivi e altri metodi per attirare pubblico ma non sempre funziona.

3. Se non funziona e non c’è pubblico, il libraio o la libraia imbarazzati dicono che è colpa del tempo. Ho attraversato la tarda primavera e l’inizio estate e ho sentito “Con questa pioggia la gente non esce” ma anche “No certo, col primo sole la gente va al mare” e persino “Fa troppo caldo per andare in libreria”.

4. Ho fatto presentazioni in librerie di catena e non c’era quasi nessuno; in librerie indipendenti ed è andata meglio, in biblioteche locali ed è andata benissimo: accoglienza con focaccia, fiori e pubblico rapito. Ho fatto anche presentazioni per una persona sola. Dopo il primo momento di depressione diventa una performance e non è così male.

5. Le amiche ti salvano la vita: all’occorrenza presentano, leggono, spostano sedie, portano le mamme, i fidanzati, le amiche, le sorelle con bambini anche piccolissimi e fanno chilometri in auto per riempirti la sala.

6. Tutti scrivono o hanno una storia simile da raccontare e hanno bisogno di renderti partecipe. Ti vedono un po’ come “Se ce l’hai fatta tu, posso anche io. Mi aiuti?”

7. La persona più divertente in una presentazione recente è stata una signora non giovane che era lì per un altro libro ma poi si è fermata e ha, nell’ordine: discusso con mia mamma sul divorzio come causa di tutti i mali; parlato della cattiveria delle suore per esperienza in famiglia; fatto una filippica anti-femminista sotto gli sguardi increduli miei e dell’editore per poi concludere dicendo “il libro non lo compro perché leggere mi fa venire il nervoso”.

8. Ad ogni presentazione c’è qualche sorpresa bellissima: una cugina che non vedevo da 15 anni, amiche sparite negli anni, qualche ex-collega stupito, qualche sconosciuta che ti ringrazia per averle tenuto compagnia con quella storia che è un po’ come la sua, in cui si è riconosciuta e sentita a casa.

9. Il libro ha una vita sua: cresce e viaggia malgrado noi. Non è più una “tua” storia ma diventa quella di chi legge: ognuno si innamora di momenti e personaggi diversi e trova credibili le cose irreali e incredibili quelle reali e inventa e elabora e viaggia e scopre ed è bellissimo.

10. Il momento autografi è una sorta di ubriacatura: non tanto per il trionfo dell’ego quanto per la possibilità di creare nel minore tempo possibile un contatto da cuore a cuore con chi sta davanti e lasciare traccia di quell’istante sulla carta.

11. Non ho ancora imparato a gestire le emozioni da realtà che diventa fantasia: quando in sala ci sono le persone che hanno ispirato Chiara, Diego, Alberto, non riesco a guardarle negli occhi.