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Bichitrananda Swain: il guru del mio guru in Orissa

BichiSir

Bichitrananda Swain: il guru del mio guru in Orissa

Da Bollywood Party, La Stampa, 27-2-2015

Ho studiato odissi un mese e mezzo a casa sua. Perché lui è il maestro dei miei guru: Lingaraj Pradhan e Sanjukta Dutta. Bichitrananda Swain, detto Bichi Sir, o guruji, ha fondato La Roudraksha Foundation, studiato con i guru dell’odissi più famosi, coreografato pezzi meravigliosi, portato l’odissi nel mondo in tournée internazionali, insegnato a bambini e adulti. Generoso, curioso, con quella fragilità propria dei geni. Interprete straordinario, Leggenda vivente dell’odissi, poco più di 50 anni, con una carica di umanità straordinaria e una visione della danza poco tradizionale e in continua evoluzione. Passi che sembrano uscire da Béjart e prendere le forme delle sculture dei templi di Konark e di Bhubaneshwar.
Lo incontro una mattina a scuola, saltando così la pratica. Siamo in terrazzo, un lieve vento e un po’ di sole. Le risposte sono disarmanti e profonde. In bilico fra voglia di verità e un dover essere che sbiadisce velocemente per lasciar posto a un cuore gigante che danza su un lago di struggente malinconia. Beviamo un tè dolce e speziato.

Cosa è l’odissi per lei?
“Sono nato per l’odissi. Sono innamorato della bellezza dell’odissi. La cosa migliore del mondo”.

La sua vita è odissi. Cosa è la cosa più importante: insegnare, performare, studiare, coreografare?
“Tutto”.

In una coreografia cosa conta di più?
“Dò molta importanza al soggetto, poi la musica, poi la danza, lo spazio. Il rapporto con lo spazio è fondamentale”.

Cosa sente quando danza?
“Sono molto nervoso. In realtà sono molto pigro. Non faccio abbastanza esercizi. Preferisco insegnare che danzare”.

Come insegna.
“I miei studenti sono meglio di me perché vogliono correggere i danzatori da capo a piedi. Io insegno molto semplicemente. Insegno lentamente a chi comincia perché ci sono troppe cose da imparare: testa, piedi, torso. Io parto dai piedi. Ognuno coglie a modo suo”.

Quanto è difficile adattare la danza a pubblici diversi: bambini, signore?
“No, non è difficile. Ci sono persone dotate o meno. La lezione è uguale per tutti. Molti stranieri sono bravissimi. Sono coinvolti nella cultura, nella musica e nella letteratura. Tanti studenti orya sono disattenti e non motivati. Se vuoi farlo diventare la tua professione, va bene anche che ti venga qui una volta all’anno ma devi praticare tutti i giorni”.

Insegnare agli stranieri è difficile?
“Una sfida. Anche se non capiamo le lingue, capiamo le emozioni”. Passa il cane, Sayoni, una femmina, che tutti i ragazzi coccolano, salvo avere improvvisi impeti di crudeltà nei suoi confronti, come con il gatto David. “Come con lei, quando è timida lo capisci subito. Il linguaggio del corpo è fondamentale, non solo l’espressione del viso. Con le parole possiamo dire cose diverse da quello che pensiamo. Se ti invito a pranzo puoi dirmi “delizioso” ma io capisco se non ti piace il cibo”.

Qual è la cosa più importante nel rapporto con gli allievi?
“L’allievo deve avere fiducia nel guru. E il guru nell’allievo. Questa è la cosa più importante. Così entrambi sono felici e la lezione ha successo.
Ci sono molti ragazzi che non hanno denaro ma hanno talento e io insegno loro gratuitamente. La scuola chiuderebbe se non prendesse soldi da nessuno”.
Bichi Sir opsita i gotipua, i ragazzini-acrobati dei villaggi che a 17 anni vengono sbattuti fuori dalle loro scuole perché la schiena comincia a non essere più flessibile come prima e li cresce come figli.
“Perché non dovrei insegnare a una persona che ama questa danza? Non voglio uccidere il cuore di nessuno. Anche io ho imparato gratis. I miei guru non hanno mai ricevuto un penny da me perché ero povero. Si tratta solo di amore. Offro colazioni e pranzi a molti studenti poveri. Anche io ero pazzo per l’odissi. I miei guru sono stati generosi con me. Kelucharan Mohapatra, Sanjukta Panigrahi, Gangadhar Pradhan non mi hanno mai chiesto un soldo. Cosa sono oggi è la benedizione dei miei guru. C’è stata una guida divina. Non li conoscevo ma sono andato da loro. Sono grato a Dio e alla sapiente guida di Dio”.

Qualche ricordo di loro?
“Kelucharan era una persona speciale. Senza ego, molto amichevole. Sempre. Sanjukta era una grande, il suo modo di insegnare e praticare era esemplare ed era gentile. Sono stati tutti fantastici”.

Quanti ragazzi vivono qui?
“12-13. Alcuni vanno a casa e poi stanno qui di giorno. Rudraksha è una famiglia. Quel poco che ho, lo condivido”.

Cosa è più importante quando prepara i danzatori per una performance all’estero?
“Prima cosa che i danzatori siano pronti. Se fai male uno show è la tua ultima danza. Poi i costumi e come si comportano e come si relazionano con gli altri. E infine la coreografia. Come si adatta ai corpi e al gruppo”.

Gli stranieri come reagiscono?
“Magari non capiscono tutto ma si appassionano. Naturalmente se conoscono apprezzano di più. Vedono la bellezza e la poesia”.

Da dove trova ispirazione per le nuove coreografie?
“Parto dalle musiche, non seguo le coreografie di nessuno. Anche se alcuni movimenti vengono dai miei guru, sono interpretati in maniera diversa.
Non immagino molto, mi seggo di fronte agli studenti e dico “fate questo, fate quello”. In passato non dormivo e cercavo passi e movimenti, ora cerco di rilassare la mente. La coreografia è un flusso, qualcosa che arriva. A volte si blocca e allora niente coreografia. Viene da qualche parte e si esprime attraverso il mio corpo. Non sono io. Io sono solo uno strumento. A volte faccio cose che poi guardo sul palco e dico “Non può essere mio”. A volte alcune cose semplicissime, taratataratata richiedono un giorno intero, a volte la mia mente è aperta e riceve il flusso. Lo yoga è importante per questo”.

Ha voglia di una sigaretta ma non potrebbe fumare qui. Ci sono piantine di tulsi, pianta sacra, che appartiene a Visnu. Facciamo una piccola pausa. Stiamo prendendo gusto all’intervista. Ci portano altro tè.

Qual è il modo migliore per alimentare l’ispirazione? Cosa aumenta la connessione con il flusso creativo?
“La spiritualità. Difficile da spiegare. Non solo preghiera ma è pace nella mente. Essere gentili con le persone, gli animali, le piante, i fiori. Questa è la chiave della spiritualità. Non aspettarsi niente da nessuno. Essere felici con quello che si ha. Non essere avidi. Essere semplici, come san Francesco che ha lasciato il lusso per cominciare un viaggio divino.
Nessuno ha mai visto Dio, ma lo possiamo sentire dentro di noi. Trovare Dio è facile. Dio è amore.
Al momento non sono una brava persona, mi dimentico spesso di Dio: non prego, non medito, sono pigro. Quando vado nella foresta sento una forza positiva, posso meditare per ore. Contemporaneamente è il posto più sexy del mondo. Dog e God sono la tessa parola letta al contrario. I luoghi più spirituali sono i più sexy.
Di Dio esistono due concetti: Saguna, forma e attributi di Dio e Nirguna, senza attributi, senza forma e colore”.

Un’altra piccola pausa. E una sua riflessione mentre raggiungiamo un livello di profondità che lo rende sempre più aperto e disponibile: “Mi piace quest’intervista. Fammi altre domande. A volte sono arrabbiato e crudele. Non sono sempre così, di buon umore. Questa è la verità”.

Qual è la cosa più difficile nella sua carriera?
“La mia vita è stata molto difficile. A volte sono molto felice. A volte per nulla. Spesso è difficile essere me.
Non so cosa succederà domani. la mia vita è semplice: qui non c’è lusso, non ci sono comodità. Mia madre è morta che avevo 9 anni, mio padre quando ero al college”.
Il tono rallenta, lo sguardo si fa cupo, come ad abbracciare ricordi lontani ma ancora dolorosi. Mi verrebbe da stringerlo. Riprende:
“Quindi ho vissuto molte difficoltà: niente denaro, niente cibo, niente vestiti, ero un bambino di strada. Poi ho trovato una famiglia nell’universo: studenti, amici, persone che mi amano. A volte è difficile, devo trovare denaro per le nuove coreografie, per la scuola, il cibo. La mia vita è dura”.

Come è la relazione con gli altri gruppi di odissi?
“La verità è che c’è competizione. Questo è bene, è il mercato. Fa succedere cose, è necessaria, ma è la politica dietro che non va bene. Con molti il rapporto è difficile”.

Cosa le piace nelle coreografie degli altri? Quali sono gli artisti preferiti?
“Sujata Mohapatra è la mia artista preferita. Siamo in ottimi rapporti. Lei non è di questa terra, lei viene dal cielo. Lei è diversa da tutti. Lavora sodo, è generosa, talentuosissima. Lei voleva fare una cosa insieme a me nel passato. Magari lo faremo nel futuro. ma io non glielo chiedo perché ci rimarrei male se mi dicesse di no”.

Ambizioni per il futuro?
“Vorrei trasformare la scuola in un vero e proprio gurukool focalizzato sulla danza ma con yoga, pratica, teoria, biblioteca, fiori, giardino. Così studenti da tutto il mondo, per me sono tutti uguali, possono vivere tutte le esperienze legate alla danza, che rimane la cosa più importante. Ma non so come fare”.

Ci sono più uomini che donne nella scuola. Come mai?
“La verità è che quando volevo danzare era molto difficile per noi uomini. Ma la danza non appartiene a nessun genere. Quindi mi sono ripromesso di insegnare agli uomini. Anche oggi per le donne è più facile, anche se non sono fisicamente perfette. Ho fatto coreografie per soli uomini. Molte donne dopo il matrimonio lasciano la danza perché devono occuparsi del marito e di tutta la sua famiglia. E senza matrimonio non si può stare in India. Le danzatrici hanno anche una mentalità diversa. Le donne danzano grazie ai soldi delle famiglie e poi dei mariti”.

Cosa pensa ora?
“Che a volte spreco il mio tempo. Te?”