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Pollo alle prugne. Vivere senza gusto? No grazie, meglio morire.

pollo alle prugne

Pollo alle prugne. Vivere senza gusto? No grazie, meglio morire.

Quando la vita perde gusto e non si ha più voglia di mangiare il proprio piatto preferito, allora meglio lasciarsi morire. È quello che succede a Nasser Ali (Mathieu Amalric), virtuoso del violino. Siamo a Tehran nel 1958. Quando la moglie mai amata (Maria de Medeiros) ma sposata per compiacere la madre (Isabella Rossellini) spezza il prezioso strumento per attirare l’attenzione su di lei e non sulla musica, Nasser Ali decide di lasciarsi morire nel buio della sua stanza.

Negli otto giorni che precedono la fine succede di tutto. Tornano incubi e sogni in atmosfere surreali e visionarie, felliniane e fiabesche che si alternano a deprimenti cartoline del presente: i figli amati ma petulanti, il maestro di violino avvolto in un’aura di magia, Sofia Loren che lo accoglie fra le sue tette giganti, il fratello modello applaudito a scuola mentre lui è fischiato da tutti, il pollo alle prugne che non ha più senso gustare, l’angelo della morte Azrael che sembra uscire da un fumetto più che dal Settimo Sigillo, la bella Irane (Golshifteh Farahani), l’amore di sempre che il padre di lei ha reso impossibile negando il matrimonio. Un amore spezzato è come un violino spezzato. Un cuore spezzato. Si rompe qualcosa dentro che non si aggiusta più. Stare lontani da ciò che si ama, il questo caso la Patria, la persona che si vuole accanto, la passione della propria vita equivale a morire. E anche se il racconto procede con umorismo e leggerezza, con frequenti approdi nel fantastico, come sceglie Marjane Satrapi, già autrice di Persepolis, risulta evidente che vivere una vita che non ci somiglia non sia semplicemente un surrogato di vita ma una condanna a morte. Il tono sfocia spesso nel grottesco come nel ritratto della vita del figlio trasferitosi in un’America così ipernutrita e pastellosa da nascondere che la figlia adolescente non è grassa, è incinta.
L’amarezza prende il sopravvento e non c’è dolcezza consolatoria, neanche nel sapore del pollo alle prugne. Solo le lacrime dell’esilio e del non essere riconosciuti nella propria arte e nella propria unicità. O peggio ancora, il far finta di non riconoscere, come sceglie Irane, per non dare ancora più spazio al dolore. Da vedere.