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Pyromaniac: chi dà fuoco alle foreste della Norvegia?

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Pyromaniac: chi dà fuoco alle foreste della Norvegia?

Da La Stampa, Torino, 21 novembre 2016

Pochissime parole, distese di silenzi e un’ambiguità che confonde le distanze fra normalità e patologia.

“Pyromaniac” è un thriller psicologico, elegante e insinuante, di Erik Skjoldbjaerg, regista di “Insomnia”, immerso nelle foreste della Norvegia del sud dove le fiamme solo l’unico diversivo nella monotona vita di un villaggio di 800 anime, Finsland.

 

Protagonista è Dag, un nome un po’ da animale, Trond Hjort Nilssen, pompiere volontario diciannovenne che di notte si trasforma in piromane. Ugualmente innamorato dell’acqua e del fuoco, Dag spegne incendi da quando ha 10 anni perché è il figlio di Ingemann (Per Frisch), capo dei pompieri. Caschetto biondo, pulito, si lava le mani appena arriva a casa, ha la faccia da bravo ragazzo, è diligente a scuola, ha finito il servizio militare e lavora alle poste.

Il film non confeziona spiegazioni sul suo comportamento, lascia che seguiamo con uguale passione la dedizione al fuoco come all’acqua. Guardiamo anche noi la magia delle fiamme che bruciano le case di legno e poi corriamo anche noi, con Dag, a spegnere gli incendi, senza giudizi o conflitti.

Perché si comporta così non è chiaro come non è chiaro cosa ha spinto Anders Breivik ad uccidere tanti ragazzi a Utoya.

La mamma Alma (Liv Bernhoft Osa), che ha il viso scolpito dal silenzio e dal dolore, sospetta dall’inizio ma tace, lo segue finché non lo scopre.

Dag è solo: porta due coetanee a fare il bagno nel lago e quando sale su una pietra per dimostrare che può camminare sulle acque, loro sono sparite. A una festa una ragazza gli prende una mano per sbaglio, pensando che sia un certo Tommy. Dag è una persona non vista per quello che è: la sua rabbia, la sua sessualità, il suo io, tutto è represso, in modo da poter divampare come i fuochi.

 

 

Non solo. Il conformismo della cittadina, dove tutto è gia deciso, per tutti e per sempre, nasconde la xenofobia e la paura. Il primo sospettato è uno straniero, dopo aver cantato tutti insieme un inno patriottico. Solo il capo della polizia locale pensa che possa essere qualcuno che conosce bene il paese.

La luce del nord, manierata e affascinante, accompagna il distacco con il quale Dag passa da una personalità all’altra nascondendo le sue tracce. Nessuna emozione, nessun narcisismo, nessun dolore, ma una visione sottile della psicopatologia che rende impossibile per alcuni individui conciliare gli opposti se non distruggendo tutto.