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Orso d’oro a Berlino al rumeno Pozitia Copilului di Calin Peter Netzer

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Orso d’oro a Berlino al rumeno Pozitia Copilului di Calin Peter Netzer

Piccolo pistolotto personale introduttivo (da saltare se si ha voglia di leggere la recensione) appena tornati dal Festival di Berlino.

Da brava malata di cinema cerco di andare ai Festival. Da sempre. Da quando studiavo cinema all’università. Con la scusa di scrivere per qualche giornale o, ora, per il mio blog, con accrediti più o meno autorevoli. O mettendomi pazientemente in coda e comprando i biglietti. Finora una sola certezza. Il film vincitore di Berlino, (una delle mie città preferite), Venezia, Cannes, Torino non era mai fra quelli che vedevo io. Una certezza che nel tempo è diventata una sicurezza. Tranne a Berlino quest’anno, alla Berlinale 2013. Ho scelto un film rumeno per curiosità, perché quella rumena è una cinematografia alla quale non siamo molto abituati in Italia e perché un’amica di Bucarest che si occupa di cinema mi ha raccontato della difficoltà dell’industria cinematografica rumena ad ottenere finanziamenti (motivo per il quale, molti film sono detti “da tavolino” perché sono ambientati in un interno e, solitamente, intorno a un tavolo). Appena l’ho visto, ho capito che avrebbe vinto. Soprattutto perché al mio fianco c’era mio marito che è uomo fortunatissimo. Non per aver sposato me ovviamente. Abbiamo visto tre film: uno ha vinto l’orso d’oro e lo racconto qui sotto, uno ha vinto l’argento alla sceneggiatura ed è pardé dell’iraniano Jafar Panahi, il terzo è stato La religieuse di Guillaume Nicloux che per fortuna non ha vinto nulla. D’ora in poi qualcosa sarà diverso.

Recensione Pozitia Copilului, Child’s Pose, Orso d’oro alla Berlinale 2013

Un fatto tragico, un incidente. Un figlio alle soglie dei quaranta disorientato e una mamma sessantenne superpresente, troppo. Ma è il suo modo di volere bene. Ribellarsi è necessario ma farsi accudire anche. Non c’è altra via. Si sceglie di essere genitori. Almeno oggi. Ma non si sceglie di essere figli. Lo si è e basta.

Il film mostra una nuova Romania, quella dei professionisti benestanti con belle case, colf, auto tedesche, pelliccia-gioielli-cocktail e la confronta con quella rurale, semplice, che vive in campagna. Il rampollo della prima famiglia, quella ricca, ha causato la morte di un bambino, in una famiglia di tutt’altro tenore di vita ma di grande dignità. La colpa non si può lavare via con il denaro o con lo scambio di favori ai poliziotti. Anche se la tentazione di usare il denaro per risolvere tutto è forte. Per salvare chi si ama si è disposti a tutto, anche a corrompere. La dignità si impone. Insieme all’etica e alla disperazione. Il dramma esterno permette di scavare nelle relazioni, prima di tutte quella fra mamma e figlio, ma poi anche quella fra il figlio e la compagna, quella fra madre e padre. In entrambe i casi gli uomini sono nelle mani delle donne. Donne forti, che sanno decidere, che sono protagoniste della loro vita e delle loro scelte. A volte colpevoli di un amore ingombrante, che non sa lasciare spazio agli altri e alle loro esigenze, un amore che tutto pretende di vedere, sapere e risolvere, come quello della madre.

I dialoghi sono serrati, intensi e ben scritti, le immagini sono avvolgenti e sembrano entrare nel cuore e nella mente dei personaggi. Gli attori bravissimi: Luminita Gheorgiu, Boogdan Dumitrache e Florin Zamfirescu. Il regista, giovane e sensibile. Un film che non lascia indifferenti e tocca famiglia, colpa, etica e vita. Non giudica ma accarezza, lascia entrare nei dubbi e nelle sofferenze, nelle lacrime e nelle lacerazioni. Sempre con pudore, delicatezza e attenzione. “Meravigliosa creatura” di Gianna Nannini ha una parte fondamentale nella colonna sonora e dà magia alle immagini.

Da non perdere.