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Costruire uno zafu zen: cuore, mani e la nobile arte della sartoria

Costruire uno zafu zen: cuore, mani e la nobile arte della sartoria

Ieri ho partecipato a un laboratorio per imparare a fare un cuscino zafu: i cuscini tondi riempiti di pula di riso o farro che si poggiano sugli zabuton, i cuscini piatti quadrati o rettangolari per lo zazen. Za significa sedere e zen è la traduzione della parola cinese chan, che traduce quella sanscrita dhyana, che è appunto meditazione.

Nello zen il cuscino è il trono di Buddha e ci sediamo a praticare non per cercare un’illuminazione che arriva all’improvviso ma per coltivare la nostra natura di Buddha, siamo già illuminati. Ogni essere lo è. Ogni cosa.

Il fare, la manualità, il meditare con le mani

Nella mia natura, se ne esiste una sola, sono un’intellettuale. Imparo, scrivo, studio, riscrivo, ristudio, progetto. Sono impaziente, veloce, vivace. Eppure posso imparare ad essere tante altre cose. Compreso fare quello che non mi verrebbe in mente di fare: cucire un cuscino.

Tenere le mani occupate è dare una casa al cuore, è fare con tutta la presenza di cui siamo capaci, una celebrazione dell’esserci, è rendere sacro ogni istante.

La casa del cuore

Non avevo mai visto un cartamodello, non avevo mai fatto una filza, non avevo mai messo spilli a un cerchio tagliato da me. Una domenica intera, perfetta, novembrina, piovosa, guidati da una sarta professionista, con un piccolo gruppo di persone più esperte mi ha insegnato tantissimo: oltre a fare la filza e percorrere con gli spilli la stoffa tagliata. Ho imparato a chiedere a chi ne sapeva un po’ di più, ho imparato a coltivare l’umiltà e la mente del principiante, ho imparato a non guardare la fine delle pieghe del cartamodello, a non contarle per vedere quanto mancava ma a stare con quello che c’era, ho imparato a copiare da Valentina, a non arrabbiarmi perché il filo non entrava nell’ago o ne entrava solo una parte e lo srotolava e non si capiva se vedevo meglio o peggio con gli occhiali, ho imparato a chiedere ad Alessio di infilarlo per me, ho imparato a non cedere alla smania del “faccio tutto da sola” affidando le cuciture alle mani esperte di Anita, l’insegnante, ho cercato metodi per versare la pula nei cuscini altrui e farmi aiutare nel riempire il mio, ho sorriso perché il cuore va dove vanno le mani e se le mani sono impegnate a coltivare bellezza e lentezza e pazienza e amore, il cuore è lì, con loro.

Cucire è come scrivere

Ho capito che cucire è come scrivere: fai, smonti, imbastisci, fai la filza, vai dritto, vai storto, scuci, rifai, vorresti buttare via tutto, aggiusti, riparti, tocchi o leggi e pensi “poteva andare meglio”, ti affezioni alle imperfezioni, diventano come allitterazioni. Guardi, respiri, ti allontani, torni, ti specchi nel tuo lavoro, ti annulli, ti butti dentro da dimenticare di fare pipì, senti il tempo che scorre via senza guardare l’orologio e la felicità che brilla dentro, consapevole che non si può che migliorare.